di Marinella Rossi

Milano, 21 febbraio 2012 - NON PIÙ di tre metri. Si accorciano le distanze dello sparo. I rilievi balistici che il sostituto procuratore della Repubblica Roberto Pellicano ha ordinato al perito della polizia scientifica Dario Radaelli saranno depositati a fine settimana, ma la sintesi è piuttosto tranciante. L’unico colpo esploso dal vigile urbano Alessandro Amigoni contro il ventottenne cileno, Marcelo Valentino Gomez Cortes, dal basso verso l’alto, è stato a distanza davvero ravvicinata: il suo viaggio non è lungo più di tre metri.

QUASI un’esecuzione, visto che il vigile ha sparato alla spalla sinistra di un ragazzo che, uscito dall’auto per fuggire, risultava (stando alle dichiarazioni di almeno uno dei colleghi di Amigoni) piuttosto lento. Dunque poteva essere raggiunto facilmente, come testimonia uno dei ghisa del nucleo anticontraffazione e antiabusivismo che hanno animato, il 13 febbraio, un’incredibile operazione di polizia. Con tanto di morto.


«L’Amigoni correva a forte velocità verso questo soggetto...», tanto che «non è riuscito a contenere la corsa ed è a sua volta inciampato sul corpo di quest’ultimo». E se sono tutti convinti, i tre colleghi di Amigoni, che lui «non abbia mirato per uccidere», resta che nessuno di loro è stato in grado «di fare supposizioni sulle reali intenzioni del collega... ». Nessuno «in grado di capire cosa sia realmente accaduto». Come se quello sparo a casaccio, eppure perfettamente mirato, fosse stato esploso solo per fermare il fuggitivo. Ma oltre all’esito dell’autopsia e dell’esame balistico, sono i tre compagni di Amigoni, accusato a piede libero di omicidio volontario con dolo eventuale, i suoi principali accusatori. L’inseguimento che la pattuglia della polizia municipale avvia su un’auto sospetta (per una manovra inspiegabilmente brusca), il breve tratto contromano, la corsa che finisce in via Crescenzago, al Parco Lambro, perché i due cileni sulla Seat inchiodano, e cercano di mettersi in salvo a piedi. Ma mentre Marcelo Valentino è lento, l’altro, Alvaro Thomas Huerta Rios, è tanto più veloce che si dilegua. Poi il colpo quasi contestuale: sulla scena restano in due, Alessandro Amigoni e il collega Massimo De Zardo. Ma l’unico a verbalizzare di aver visto uno dei due fuggitivi con una pistola a canna corta in mano è Amigoni. Non ha visto armi De Zardo, né Nicola Colucci, né Piero Recupero.

POI, venerdì, ricompare sulla scena anche il secondo giovane cileno a confermare questa tesi. Alvaro Thomas si fa assistere da un avvocato che lo porta dal pubblico ministero e poi in questura. È clandestino (motivo per cui dirà che lui e Valentino temevano i ghisa) e dichiara di non aver mai avuto un’arma. Lui potrebbe rischiare l’arresto, per lo stato di irregolare, anche se la norma è stata attenuata, tanto che il pm Pellicano lo fa rilasciare.


La dinamica non pare più riservare sorprese, tanto che per Amigoni si profila una richiesta di processo in rito immediato. La cosa porterebbe il vigile a dibattimento o al rito alternativo dell’abbreviato. Resta invece insoluto il perché Amigoni abbia sparato (lui ha dichiarato di aver mirato a un terrapieno). Paura di essere aggredito, come è accaduto il 12 gennaio al vigile Nicolò Savarino, investito e ucciso da un Suv guidato da uno slavo? Supposizioni. Ma il vigile di zona Iolanda Rancaccio, di servizio nel quartiere e che interviene al Parco Lambro dopo la sparatoria, chiede lumi su chi si sta inseguendo: «Il collega mi disse solo che era un individuo che indossava un giubbotto nero, alto un metro e 70, e che forse era slavo».
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