Milano, 17 febbraio 2012 -«Mariuolo». Bettino Craxi lo definì così il compagno di partito Mario Chiesa pochi giorni dopo quel 17 febbraio ’92, giusto vent’anni fa, quando il presidente della Baggina finì in manette mentre intascava una mazzetta da un piccolo imprenditore monzese. Voleva spacciarlo per la classica mela marcia in un cesto di frutta fresca, fingendo di non conoscere la qualità complessiva del prodotto. E così anche il termine “mariuolo” è passato alla storia come “Mani pulite” e “Tangentopoli”. E l’ingegner Chiesa divenne seduta stante il simbolo della stagione delle «mani nella marmellata», prime parole pronunciate alla stampa dall’allora sconosciuto pm Antonio Di Pietro. Vent’anni dopo “Tonino” è un leader politico, mentre Gerardo D’Ambrosio, già coordinatore del pool di magistrati che indagò sulle tangenti, è un senatore del Pd che fatica anche solo a far discutere in aula le sue proposte di legge anti-corruzione.

E se l’ex capo della procura Saverio Borrelli, lanciato il suo ultimo appello a “resistere resistere resistere” di fronte alla prima ondata berlusconiana, oggi si gode la pensione e la musica lirica che gli è sempre piaciuta astenendosi il più possibile dal tracciare bilanci, Piercamillo Davigo, il “dottor Sottile” dei codici, è approdato naturalmente in Cassazione e continua a dispensare affilati giudizi sul basso livello di legalità diffusa. Gherardo Colombo, lasciata la magistratura, si è dedicato all’editoria e alla funzione di divulgatore delle buone regole che illustra in pratica quotidianamente a classi di studenti o in affollati incontri di genitori, convinto com’è che solo se cambierà la cultura potranno cambiare le leggi e il rispetto delle regole.
 

Il resto appartiene alla memoria di chi ha attraversato quell’epoca e alle cronache ingiallite dei giornali. Gli arresti quotidiani di imprenditori e politici, il sostegno travolgente ai magistrati dalla quasi totalità dell’opinione pubblica, il cappio leghista sventolato alla Camera, il “compagno G.” Primo Greganti che resta in carcere tre mesi in assoluto silenzio, i socialisti e i democristiani che invece parlano e alimentano l’inchiesta, il direttore del Tg4 Emilio Fede che manda il suo cronista Paolo Brosio in pratica a vivere sul marciapiede di fronte al tribunale, Di Pietro che gli passa alle spalle e gli strappa il block notes, il dc Enzo Carra che arriva in aula con le manette, i suicidi di Raul Gardini e del presidente dell’Eni Gabriele Cagliari.

E poi il processo al finanziere Sergio Cusani, quasi in diretta tivù davanti al giudice Giuseppe Tarantola, con i politici a sfilare in aula, Forlani con l’impietosa bava bianca sulla bocca, quasi senza rendersi conto che erano loro i “veri” imputati. E il ministro della Giustizia Biondi che tenta il colpo di spugna e Di Pietro, Colombo, Davigo e Francesco Greco che in tivù leggono un comunicato prennunciando la richiesta di trasferimento. E l’avvio della seconda fase dell’inchiesta, con l’invito a comparire a Silvio Berlusconi e le dimissioni a sorpresa di Di Pietro dalla magistratura, con quel suo plateale sfilarsi la toga in aula, al termine del processo Enimont. Sono vent’anni, ma era il secolo scorso.
 

di Mario Consani