Milano, 8 gennaio 2012 - Il Duomo, simbolo di Milano? Per una facile lettura turistica, lo è certamente. Ma il vero emblema della città, con tutto il rispetto per la cattedrale, è un altro. La Galleria, forse? Il Castello Sforzesco? La Madonnina? Macché: l’antico, autentico e sempre valido simbolo della metropoli è solamente il Biscione, per Dante Alighieri «la vipera che il milanese accampa» (“La Divina Commedia”, Purgatorio, Canto VIII).

Al solo guardarlo il pensiero corre – allora sì – a tutti gli altri segni citati, come sintesi di una formidabile ricchezza storico-culturale. Parliamo di quel drago-serpente raffigurato nell’atto di ingoiare un bambino (o un uomo). Lo troviamo in ogni luogo e in ogni forma: in rilievo sulle mura del Castello e di innumerevoli edifici storici; in ferro negli anelli del Palazzo della Ragione; in pittura nelle sale di mezza città, compreso il Cenacolo di Leonardo; in logo (commerciale, industriale e sportivo) nei marchi di aziende come Mediaset (con la variante del fiore in bocca al drago), Alfa Romeo e FC Internazionale Milano. Una presenza imprescindibile nella storia e nella cronaca di Milano.

E qui urge la domanda di quale sia l’origine di un simbolo così forte da oscurare lo stesso stemma della città di Milano, il primo attestato e tuttora vigente (croce rossa in campo argento). Le risposte non possono che essere fantasiose ipotesi, visto che quella origine affonda nella notte dei tempi e dunque in leggende, tutte fiorite nell’ambito della casata Visconti, che poi avrebbe trasmesso l’insegna agli Sforza. La più accreditata, se così si può dire, sostenuta anche da Bonvesin de la Riva nel “De Magnalibus Mediolani”, vuole che al tempo delle Crociate uno dei primi capostipiti della grande famiglia, il valoroso Ottone - non l’arcivescovo Ottorino -, sconfiggesse in battaglia nel 1100, in un interminabile duello, il gigantesco comandante saraceno Voluce, sul cui stendardo era raffigurata una grande serpe con un uomo di carnagione chiara in bocca (l’episodio è richiamato nella porta Lombardi del Duomo).

Impossessatosi dello stemma, Ottone lo portò in patria. E qui lo utilizzarono anche i suoi discendenti, però sostituendo al bianco tra le fauci del drago un moro ignudo, in ricordo dei saraceni sconfitti.

 

Un secondo racconto attribuisce ad Azzone Visconti, signore di Milano dal 1329 al 1339 un talento da creativo ante litteram, avendo egli inserito la serpe nel proprio stemma dopo un curioso episodio capitatogli nell’estate 1323. Una terza leggenda narra di un drago terribile che infestava un bosco nei pressi delle mura cittadine, nell’area dell’antica Porta Argentea, poi Orientale e oggi Venezia. Un giorno, il drago stava divorando un bambino ancora in fasce, quando di lì passò a cavallo Uberto Visconti, signore di Angera, che mise mano alla spada e, come un San Giorgio, uccise la bestia salvando la creatura. E anche qui il drago finì nello stemma visconteo.

C’è poi chi fa risalire il Biscione al serpente di bronzo conservato nella basilica di Sant’Ambrogio, forgiato, si dice, dallo stesso Mosè. E di un secondo temibile drago, il Tarantasio, abitatore dello scomparso lago Gerundo, parlano altri miti, tutti concentrati sulla spiegazione di un simbolo che, a ben guardare, proprio del mistero fa la propria forza.