Milano, 19 dicembre 2011 - Fernando Ornaghi punta l’indice sul numero civico 393: «Lì a pianterreno sono nato io». Era il 1948, e la cascina Gobba aveva almeno un secolo e un marchio salvavita: monumento nazionale intoccabile. Era successo di tutto lì dentro e lì a fianco, lì davanti e poco più in là, nella frazione dell’ex comune di Crescenzago, giù, in fondo a via Padova, dove il piccolo Naviglio vira a sinistra e saluta da vicino il Lambro. Non si chiamava nemmeno via Padova, un tempo. Su quella lunghissima strada che da piazzale Loreto portava a Venezia da una parte, e a Lecco dall’altra, erano passate carrozze di generali napoleonici e conti, nobili e illuminati scrittori. Prima, molto tempo prima, sulla Martesana ci navigò Leonardo.

Dopo, molto tempo dopo, Cascina Gobba diventerà nota per essere la fermata della linea 2 della metropolitana e un gomitolo di asfalto, tangenziali e ponti che conducono da un lato all’ospedale San Raffaele e al residence di via Olgettina, e dall’altro ancora agli studi Mediaset di Cologno Monzese. Quegli studi una volta si chiamavano Cinelandia e negli anni ’60 e ’70 facevano concorrenza a Cinecittà perchè qui nacque Carosello. Alla trattoria La Gobba, tagliata a fette per costrurci addosso la tangenziale, Ernesto Calindri, Gino Bramieri, Tino Scotti, Sandra Mondaini e Tino Buazzelli ci andavano a mangiare nelle pause delle riprese. Sessanta anni prima, altri commensali erano seduti a godersi lo spettacolo dell’invenzione dell’ingegnere Enrico Forlanini: il primo dirigibile “Leonardo da Vinci” in volo su quelle terre di confine che alla domenica adesso sono una caotica fiera dell’Est.


Fernando Ornaghi cammina lungo il percorso della memoria, davanti a quei tre edifici (biscottificio, cascina e trattoria l’uno a ridosso dell’altro), dove i suoi bisnonni, nonni e zii hanno costruito altri cinquant’anni di storia, se mai ce ne fosse stato bisogno. Perchè Crescenzago, oggi quartiere periferico di Milano, è stato il borgo degli inventori, degli uomini giusti e della civiltà che ha fatto grande l’Italia. Ora c’è un parcheggio caotico dove Pietro Sada, nel 1915, inventò la carne in scatola che più tardi diventerà la Simmenthal. Metri più in là «giù del pont» di piazza Costantino, vicino alla «Cà del Comùn», c’è Villa Lecchi, dove dormì l’imperatore d’Austria Francesco I e che il caritatevole Enrico Mangili trasformerà in tessitura, nel borgo dei lavandai, e un bel giorno del 1875, coi fogli utilizzati come lettiere per i bachi da seta, inventerà i coriandoli per il Carnevale. Anche Primo Levi passò di lì. Lavorava in via Meucci nell’azienda che produceva Formitrol e Ovomaltina. Di quel borgo scrisse: «Tu forse non l’avevi mai pensato, ma il sole sorge pure a Crescenzago».


Da sempre Crescenzago era la riviera di Milano. In una delle ville che ancora si affacciano austere sulla Martesana, abitò il generale napoleonico Pino, che a suon di onori, nel 1814 comprerà villa d’Este a Cernobbio e suonerà la chitarra accompagnato al violino nientepopodimeno che da Nicolò Paganini. Con il progresso, la fisionomia di quel fazzoletto calpestato da tanti personaggi illustri cambiò per sempre. Cancellati i tram delle linee celeri dell’Adda che scaricavano i pendolari proprio davanti alla cascina, arrivò il declino su tutto, ma non sul “393”, nel cui cortile la vita non si è mai spenta. Dal gobbetto che ha dato il nome bislacco alla zona, ne è passata di acqua sotto il ponte di un Lambro oggi grigio e maleodorante. Ucciso misteriosamente l’ultimo titolare dell’osteria (appena rilevata da peruviani dopo 30 anni di abbandono), girata la fiction sulla strage di Erba nel cortile della cascina, la terra di confine non può morire: Fernando Ornaghi ne ha fatto un sito (www.lagobba.it) straordinario. In fondo è lui il monumento nazionale della «Goeubba».