Milano, 31 ottobre 2011 - Quando prese servizio alle «Volanti» aveva 23 anni. Oggi Silvano Gattari lascia dopo 36 anni. Era arrivato a Milano dalla provincia di Macerata, terra fertile e produttiva solo per riempire i treni che portavano al Nord. E molti si arruolavano e indossavano quella divisa verde pesante come una coperta. Qualcuno è diventato questore (Paolo Scarpis), qualcuno ha fatto carriera fino a essere nominato Cavaliere e poi Ufficiale restando un Sostituto commissario, appunto Silvano Gattari. Qualcuno è stato molto meno fortunato ed è rimasto ucciso sotto i colpi della banda Vallanzasca, come Giovanni Ripani.

 

«Era il 17 novembre di 33 anni fa, ma lo ricordo come fosse oggi - racconta con l’emozione che il tempo non ha corroso, Silvano Gattari - mi è morto fra le braccia in piazza Vetra. Gli hanno sparato 14 colpi Vallanzasca, Cochis, Careccia e gli altri della sua banda. Quella maledetta mattina eravano in servizio tutti e due. Entrambi marchigiani. Eravamo compagni di stanza...».

 

Gattari è uno dei pochi fortunati che ha attraversato gli ultimi 35 anni di storia milanese con una divisa indosso e con una pistola alla cintola. «Anni di rapine violente, di banditi spregiudicati, sequestri di persona, di sparatorie in mezzo la strada, inseguimenti pericolosi... Anni difficili. Allora la microcriminalità non esisteva. C’erano solo grandi criminali...».

 

E snocciola nomi che sembrano un elenco telefonico: «Vito Pesce, Mario Carluccio, Rossano Cochis, Antonio Colìa, la banda Vallanzasca. Tutti avevano un soprannome». Gattari pesca nel catino dei ricordi. «Andavamo a fare irruzione in qualche appartamento della Comasina e loro avevano un trucchetto per sfuggire alla cattura. Mandavano avanti le loro donne. Tutte mezze nude e intanto avevano il tempo di scappare dalla finestra. Ma noi non eravamo fessi...».

 

Voltando lo sguardo indietro spesso, con nostalgia, si parla di codice d’onore della mala? Di banditi che non osavano toccare bambini o anziani. «In un certo senso, appunto, non si vedevano scippi o roba di questo livello. Le grandi bande non volevano tra i piedi delinquentelli. Le rapine in banche si facevano entrando con sette persone col mitra e il passamontagna. Poi fuggivano sparando all’impazzata. Altro che taglierino...».
Bande, malavita, cominciava ad affluire a Milano anche la droga. E poi è arrivato il terrorismo. Gli anni di piombo.
«Un altro periodo terrible. C’era la colonna milanese della Brigate rosse, guidata da Moretti e Senzani. Ogni giorno un gambizzato».

 

Senza vanagloria ma con un briciolo d’orgoglio il Sostituto commissario ricorda anche qualche episodio che gli fa ancora venire i brividi. «Le Brigate rosse mi avevano preso di mira. A me come tanti altri. Mi telefonavano a casa. Minacce. Sentivo che avrei potuto essere la vittima di un agguato. Poi quando ci fu l’irruzione nel covo di via Lorenteggio tutto finì. Un’altra volta un imprenditore che voleva suicidarsi mi puntò la pistola al petto. Lavorava nel settore dei giubbetti antiproiettili e sapeva che quello che indossavo io non sarebbe servito a nulla...».
Come è cambiata Milano? «Immigrazione e droga. Hanno cambiato questa città. Prima la coca l’aveva solo Vallanzasca, adesso lo spaccio ha cambiato tutto. C’è la microcriminalità, tanti stranieri che non hanno lavoro e casa. È una situazione difficile. Ma pensate cos’era il terrorismo, i sequestri di persona, le sparatorie...»

 

Per 36 anni, non ha badato ad orari e giorni di riposo anche all’epoca in cui gli straordinari non venivano pagati. «La questura è la mia seconda casa.» sospira ancora. Ma cosa è cambiato al lavoro? «Smilitarizzazione e ingresso delle donne. La polizia è diventata democratica, trasparente. Sicuramente è migliorata da questo punto di vista. Però prima c’era un attaccamento alla divisa che adesso non c’è più. C’erano valori più forti. Si lavorava perchè c’era qualcosa che ti spingeva a farlo anche se in cambio avevi pochissimo. Adesso è un lavoro, uno stipendio, a volte qualche riconoscimento e qualche medaglia, sperando in un aumento di stipendio.
E adesso. Da novembre in poi? «Non voglio pensarci. Ma ho lavorato una vita nel settore Sicurezza e questo mi darà da vivere ancora. Di certo non vado a pescare e faccio il pensionato».