Milano, 1 settembre 2011 - Sono giorni frenetici al San Raffaele. Lunedì prossimo è in programma il Consiglio d’amministrazione chiave per il futuro della Fondazione: gli uomini della Santa Sede vareranno il piano di concordato preventivo con i fornitori, formula scelta per fermare l’emorragia di ingiunzioni di pagamento e lavorare con serenità al rilancio dell’ospedale. Quindi, verranno stabilite le quote azionarie della Newco, la nuova società dove confluiranno le attività core business: vi entreranno a vario titolo l’Istituto per le opere religiose (Ior), l’imprenditore genovese Vittorio Malacalza (membro del Cda) e un charity trust (attraverso un forte contributo al polo accademico).

Con ogni probabilità, l’8 e il 9 settembre si terranno altre due riunioni del board di via Olgettina per mettere a punto gli ultimi dettagli. Entro il 15, infatti, il nuovo management del colosso da 57 mila ricoveri l’anno è atteso in Procura per una «proposta chiara e concreta» di risanamento finanziario; in caso contrario, i magistrati che stanno indagando sulla voragine da un miliardo e mezzo di debiti inoltreranno l’istanza di fallimento. «Ce la faremo», assicurano dai piani alti del Ciborio. Nonostante «le fortissime pressioni in arrivo da circoli finanziari molto vicini a don Verzé», riferisce una fonte molto qualificata, il lavoro va avanti.

Con o senza il fondatore del San Raffaele, che si sente estromesso (in effetti lo è) dalla gestione diretta della sua creatura. «Non parliamo di una guerra in corso, ma la lettera inviata da don Verzé è ovviamente ricollegata al fatto che Rotelli non molla la presa». Il riferimento è a una missiva arrivata qualche giorno fa a tutti i consiglieri, nella quale il prete ha rivendicato tutti i poteri attribuitigli dallo statuto, compresa la revoca del Cda.

Secondo indiscrezioni, l’iniziativa sarebbe legata a un ritorno di fiamma tra il sacerdote manager e Giuseppe Rotelli, numero uno del gruppo San Donato. D’altro canto, meno di due mesi fa, era stato proprio don Verzé a optare per l’offerta del Vaticano (della quale non si conoscono ancora le cifre esatte), rinunciando ai 250 milioni cash messi sul piatto dall’imprenditore della sanità. Entrando in rotta di collisione pure col fidato braccio destro Mario Cal, che avrebbe preferito i soldi subito, senza dover ricorrere a procedure in extremis via tribunale. Bene, quell’offerta sarebbe ancora valida. E don Verzé, cui il Vaticano ha tolto le deleghe operative (passate al vicepresidente Giuseppe Profiti), avrebbe seriamente pensato all’ennesimo colpo di coda.

 

Da Via Olgettina trapela che l’incidente diplomatico tra il prete e il Cda si è ricomposto nell’ultimo vertice del 29 agosto: «Non c’è stato alcuno scontro...». La risposta del board è stata affidata a una lettera del consigliere Giovanni Maria Flick: «Ci stiamo impegnando per il San Raffaele - la sintesi -. Se vuole, lei può anche farci fuori: noi non ci opporremo». A replicare, non a caso, è stato proprio l’ex ministro di Grazia e Giustizia, l’uomo che sta facendo da trait d’union con i magistrati. Insieme a lui, è il consulente Enrico Bondi, il risanatore della Parmalat, a tenere i rapporti con i pm e a far da garante per la buona riuscita dell’operazione di salvataggio. Insomma, il tentativo fuori tempo massimo di don Verzé è andato a cozzare con l’asse Cda-Procura, che ha già stabilito le due priorità: far piena luce sui bilanci opachi della Fondazione - in particolare sulle consulenze ai baroni in pensione e ad altri faccendieri e sui conti all’estero - e salvaguardare il personale dell’ospedale. Obiettivi vicini, secondo i ben informati.

E don Verzé? L’ultimo comunicato del Consiglio d’amministrazione è stato piuttosto chiaro: «Marcare la necessaria discontinuità gestionale». Come dire, si cambia registro rispetto al passato. «I soliti circoli finanziari che vogliono infilarsi nella vicenda non si facciano illusioni: la governance della nuova società, così come dell’ateneo Vita-Salute, sarà espressa da chi mette i quattrini». Con una postilla: «Alla fine vinceranno i buoni».