Milano, 27 agosto 2011 - Quella definizione proprio non va giù al popolo del Pd. «Ho letto sui giornali - si sfoga un militante - che i magistrati ne avrebbero parlato come di “un delinquente matricolato”». In poche righe, ecco tratteggiata l’incredulità della base. Filippo Penati nella bufera, i suoi elettori sconcertati. Ieri l’ex uomo forte del Pd in Lombardia ha deciso di autosospendersi dal partito e di uscire dal gruppo consiliare regionale. È un segnale, sentenziano dal territorio, ma non è sufficiente: «Deve lasciare l’assemblea di via Filzi: è stato eletto con altre premesse - il commento quasi unanime -. E poi rinunci alla prescrizione: se è convinto di essere stato raggirato, si faccia processare e dimostri la sua assoluta innocenza».

 

Basta fare un giro nei circoli cittadini per accorgersi che le parole dell’accusa pesano come un macigno. Fatta salva la premessa («Speriamo che venga fuori la sua estraneità ai fatti»), gli iscritti non usano la mano leggera con l’ex numero uno della Provincia: «Siamo molto scontenti - fa sapere Stefano Suzzi, segretario del circolo Tombon, in pieno centro storico - ma non possiamo che affidarci alla magistratura». E il passo indietro di Filippo? «Meglio di niente, soprattutto se lo paragoniamo ad altri casi del recente passato». Non c’è bisogno di sottotitoli per cogliere il riferimento alle inchieste che hanno coinvolto diversi esponenti del centrodestra.

 

Anche se in pochi sono ancora disposti a perorare la causa della superiorità morale della sinistra: «Se è vero quello di cui si parla in queste ultime ore - riflette Paolo - temo non si tratti di un caso isolato: ora il partito deve fare chiarezza e prendere le distanze da questa vicenda». Come dire, «bisogna stare attenti e vigilare con più rigore, anche se ammetto che un’idea del genere, espressa adesso, può sembrare utopistica». Facce scure, «una grande tristezza», tanta rabbia. I fedelissimi del Partito democratico, che solo qualche settimana fa hanno festeggiato la conquista di Palazzo Marino dopo anni di sconfitte e faide interne, si ritrovano costretti a fare i conti con il caso giudiziario dell’estate: «Veniamo da una straordinaria vittoria: non buttiamola via».
 

E qualcuno tira in ballo il sindaco Pisapia e la sua scelta di rinunciare all’amnistia negli anni Ottanta per essere assolto nel merito dall’accusa (ricordata dalla sfidante Letizia Moratti nella campagna elettorale di maggio) di aver rubato un furgone che sarebbe poi dovuto servire per il sequestro (mai attuato) di William Sisti: «Segua l’esempio di Giuliano - sottolinea ancora Paolo - altrimenti ci resterà sempre il dubbio».

 

Sulla pagina Facebook di Penati (che ha usato proprio il social network per comunicare la sua rinuncia agli incarichi di partito) s’infiamma la polemica tra innocentisti e colpevolisti: rispetto a qualche settimana fa, quando gli “amici” di Filippo si erano schierati come un sol uomo a difesa del loro leader, ora sono in tanti a chiedere spiegazioni sull’indagine legata alle aree ex Falck. C’è chi posta sul web la frase “numerosi e gravissimi fatti di corruzione”, citando l’ordinanza del gip di Monza, seguito dall’affermazione: «Che delusione».

 

E ancora, «un grande gesto sarebbe rinunciare alla prescrizione - interviene Simone -. È il Berlusca quello che si salva con questi cavilli...». Ovviamente, non mancano gli incrollabili sostenitori dell’esponente (autosospeso) del Pd: «Sulla stampa emerge che il finanziamento al partito non c’è stato - attacca Andrea - e che per il resto bisognerebbe fare il processo per corruzione ma i reati sono prescritti». La conclusione: «Allora di cosa stiamo parlando? Penati non risulta colpevole o reo di nulla per ora». Marco e Gaetano chiedono all’ex primo cittadino di Sesto di non lasciare il Pd: «Non dovresti farlo: devi attendere che la giustizia faccia il suo corso».
 

 

Intanto, gli ultimi sviluppi della vicenda creano tensioni anche ai piani alti del partito. L’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, consiglia neanche troppo velatamente a Penati «di rinunciare alla prescrizione»; e ancora, «fossi in lui, darei anche le dimissioni dal Consiglio regionale». Sul punto Carmela Rozza, capogruppo in Comune, afferma: «Deciderà Filippo il da farsi: in ogni caso, ha già messo una distanza tra sé e il partito». Quindi, la frecciata a Majorino: «La smetta di soffiare sul fuoco dell’antipolitica. E poi all’epoca dei fatti era lui il segretario cittadino dei Ds, non io: se ha dei dubbi, se li chiarisca da solo». La stizzita replica: «Non capisco cosa voglia dire Carmela: i fatti non riguardano in alcun modo finanziamenti illeciti ai Democratici di sinistra di Milano».