Milano, 26 agosto 2011 - San Raffaele, anno zero. Il Consiglio d’amministrazione sta completando l’opera: entro il 15 settembre, termine ultimo fissato dalla Procura di Milano per evitare l’istanza di fallimento, gli uomini della Santa Sede inoltreranno «una proposta seria e concreta» per uscire dalle sabbie mobili di un debito che ha ormai superato il miliardo di euro. Sarà avanzata una richiesta di concordato preventivo con i creditori, anche servirà qualche giorno in più del previsto per mettere a punto i dettagli: la riunione del Cda, in programma stamattina, è stata posticipata a lunedì 29. Siamo comunque in dirittura d’arrivo: come confermano fonti qualificate ai piani alti del Ciborio, tra tre giorni il consulente Enrico Bondi comunicherà «qual è lo stato di avanzamento del lavoro, che non è soltanto di ricognizione contabile».

 

Sì, perché nel mirino ci sono «strane rendite di potere in termini organizzativi»: di questo si sta occupando l’ex direttore generale Renato Botti, silurato qualche mese fa dal ticket don Verzé-Mario Cal e tornato al comando della struttura sanitaria nella nuova era targata Vaticano. Una cosa è certa: «Non saranno licenziati i lavoratori (quelli “veri”, dai primari ai giardinieri passando per medici e paramedici). Probabilmente, dovremo fare a meno di consulenze di primari-baroni ottuagenari in pensione con tanto di auto e autista». Un duro j’accuse, quello lanciato dal nuovo management.

 

Con un destinatario preciso: il fondatore don Luigi Verzé. In ogni caso, il board ha fatto la sua scelta sulle modalità di risanamento: «È pressoché certo che daremo il via a una newco sufficientemente capitalizzata per pagare tutti i debiti». Con ogni probabilità, a metterci i soldi, come scritto nero su bianco nel piano di ristrutturazione ratificato dallo studio La Croce, saranno le banche più esposte (Unicredit, Intesa San Paolo), con un finanziamento-ponte di 50 milioni, e l’Istituto per le opere religiose (lo Ior dovrebbe investire 250 milioni). 
 

 

Non sono esclusi colpi di scena dell’ultimo minuto. Come rivela la nostra fonte, sembra ci sia in atto «un tentativo da parte di taluni circoli “finanziari-professionali” di infilarsi nella vicenda per garantire protezione a chi ha la coscienza sporca (e i conti cifrati all’estero pure, a quanto sembra)...». Una contromossa fuori tempo massimo del sacerdote manager per riprendere in mano le redini del suo ospedale e coprire operazioni poco chiare? Forse sono solo le scorie di un duro scontro tra vecchio e nuovo. Eppure, a sentire chi sta «sulla fire-line» (sic), cioè sulla linea del fuoco, pare si stia consumando una guerra tra potentati economici, che va ben al di là dell’ospedale di via Olgettina e del suo destino. La conclusione: «Alcuni potentati stanno cercando di riaffermare il proprio potere vetero-feudale: hanno sbagliato tempi e modi, alla fine vinceranno i buoni».