Milano, 7 agosto 2011 - Chioma inselvatichita dalla lacca, occhioni sgranati e scollatura abissale: non importa quante ce ne siano state dopo, la cassiera del Drive In è lei. Correva l’anno 1983, prima edizione del programma che avrebbe riscritto il varietà e introdotto quello che da molti è indicato come l’archetipo della velina (complice il fatto che la mente sia sempre Antonio Ricci), reclutando, nelle succinte vesti di spalla comica, una bellezza esplosiva che mandava in fibrillazione un’Italia ancora ingenua, televisivamente parlando.

Carmela Carolina Fernanda, una ventenne genovese che fino a poco prima faceva la pendolare con Milano Due, culla della tv commerciale, aveva appena ottenuto l’onore di un coreografo personale, primo passo sulla strada per diventare una primadonna. Finì che s’innamorò del coreografo, lo è ancora dopo 28 anni. Se, con grandi sforzi, si può costringere Carmen Russo a non parlare dei suoi cani (29, adottati o raccolti dalla strada, «e per favore scriva che abbandonarli è incivile e non è più di moda»), impossibile è non nominare ogni due minuti Enzo Paolo. Con lui (e con sacrifici, studio, allenamento) ha superato la fase critica di bella del momento ed è diventata una ballerina. Guadagnandosi i gradi per spiegarci che nella tv protoscollacciata degli anni ’80, che faceva invelenire le femministe, c’era molto più spazio per diventare donne di adesso.

 

In primavera è uscito un dvd, cento minuti di suoi balletti e sketch. Dice che tornano gli anni ’80?
«Alla grande».
E pensare che Raf si domandava «cosa resterà...»
«Televisivamente parlando sono stati i numeri uno. Per produzioni, spettacoli, personaggi... Sì, mi ci metto anch’io. Si facevano tre o quattro varietà l’anno, tra Rai e Mediaset c’era grande competizione...».
Il bello della concorrenza.
«Il risultato erano cast talentuosi. A Risatissima avevamo due corpi di ballo e due coreografi, uno per Edwige Fenech e uno per me, ogni settimana era una sfida. Sana. C’erano le star della musica, come la Bertè, c’era il comico famoso, Lino Banfi, e quello giovane, Massimo Boldi; la signora della tv e io, l’esordiente... La Belén della situazione».
Belén? Se è dovuta arrivare a Sanremo perché scoprissimo che sa ballare e cantare...
«Ha fatto bene, poteva fare anche di più. Il problema è che queste cose non vengono più richieste, perché il mercato non le offre più».
In che senso?
«Quando ho cominciato io c’era il varietà. Poi è arrivato il one man show, le showgirl sono sparite ed è cominciata l’era delle gnocche».
Delle gnocche?
«Modelle bellissime, però non facevano niente. E pian piano è sparito il balletto, non perché non lo sapessero fare, ma perché nessuno chiedeva più loro di farlo, o di imparare. Mentre il pubblico lo vorrebbe ancora».
Ci racconta del Drive In?
«Antonio Ricci mi chiamò. Mi ero fatta un nome dopo un anno di Bagaglino e una tournée estiva con dieci ballerini in giro per i locali, che fece scalpore... Insomma si cominciava a parlare di me come professionista, non solo come la bella ragazza 90-60-90. Enzo Paolo mi costruì uno spettacolo che probabilmente oggi sarebbe considerato uno show teatrale...».
Enzo Paolo Turchi, coreografo nonché suo marito da 24 anni. Vi siete conosciuti al Drive In, vero?
«No, poco prima: andai a vedere un suo spettacolo al Brancaccio, dove ballava anche Lorella Cuccarini, sua allieva. Io ero già un po’ famosa ma sentivo la necessità di studiare, di perfezionarmi. E luimi ha dato la patente di professionista, mi ha messa sulla buona strada».
Poi il Drive In.
«È stato una buona scuola, non solo per la danza: c’erano Gianfranco D’Angelo, Enrico Beruschi, si provava, si cresceva... Un gran lavoro dietro le quinte, mica come adesso che arrivi, ti danno la scaletta e via».
Quel programma fu anche una piccola rivoluzione.
«Io non l’avevo intuito, anche se mi accorgevo che c’era un bel ritmo. Speravamo di arrivare a quattrocento, cinquecentomila spettatori: furono tre milioni».
Lei fece la primissima edizione, nell’83.
«Poi Grand Hotel, Risatissima, Un fantastico tragico venerdì...».
Com’erano gli anni ’80 a Milano Due?
«Avevo cominciato ad andarci nell’80-’81. La prima cosa che feci su Telemilano fu Popcorn, ero la ragazza che ballava la hit parade. Nello studio di fianco c’erano Sandra Mondaini e il grande Vianello e, come coreografo, indovini chi?».
Enzo Paolo?
«Lui! Ma non ci siamo mai incontrati. A quei tempi ero una perfetta sconosciuta. Avevo cominciato ad Antenna 3 con Beppe Recchia: facevo “La bustarella”, mitico programma delle tv private. Da lì Franco Catullè, l’impresario di Mike, mi portò a Telemilano. Arrivavo, registravo la mia parte e tornavo a casa».
Dove?
«A Genova».
Cioè era una pendolare?
«Avanti e indietro col treno... I miei sacrifici li ho fatti».
E dopo, com’era la vita a Canale 5?
«Bellissimi anni. Comici, showgirl, presentatori... Anche se non si lavorava insieme ci s’incontrava e c’era feeling, ci si divertiva. Oggi non è più così. Forse avevamo una mentalità diversa. O forse eravamo solo più giovani...».
E la Milano da bere?
«Un sacco di locali, potevi uscire e incontrare Franco e Ciccio... Da ragazzina era il mio sogno fare uno sketch con loro, o con Ric e Gian. Alla tv guardavo il varietà, volevo diventare come Sandra Mondaini, Delia Scala, Loretta Goggi, e al primo posto la mitica Carrà. Una donna di spettacolo per me era così: sapeva cantare e ballare, era simpatica, frizzante... Una star formato famiglia».
Quand’è che s’è sentita anche lei un po’ star?
«Beh, il primo status symbol della showgirl era avere un proprio coreografo».
E il primo per lei fu...
«Enzo Paolo!».
Ti pareva.
«Lo scelsi la sera del Brancaccio».
Prima d’innamorarsene quindi.
«La scintilla scoccò durante la tournée estiva. Pensare che non era neppure il mio tipo. Tutti pensavano fosse la storia di un’estate: la sex bomb e il coreografo, nessuno avrebbe scommesso due lire su di noi... Invece dura da ventotto anni. Per me lui è tutto. È un uomo fortissimo, lo so che sull’Isola (dei famosi, nel 2005, si ritirò per problemi di salute, ndr) ha pianto ma stava male. Per noi, che col nostro corpo lavoriamo, vedere che non risponde è tremendo...».
Sul lavoro com’è?
«Un tiranno, tirannissimo all’inizio: da me pretendeva il doppio rispetto agli altri ballerini. “Sei in prima fila”, diceva».
C’è chi dice che la sua cassiera del Drive In sia stata l’archetipo della velina.
«Sbaglia, le veline sono un’altra cosa. Ritengo che, per una bella ragazza che entra nel panorama televisivo oggi, sia un buon modo d’iniziare: ballano, lavorano tutti i giorni, imparano. Diverso è uscire da un reality show e cercare la fama senza studiare».
E d’estate, in discoteca, fare “ospitate”, non tournée...
«Semplicemente ai miei tempi non esisteva che un personaggio arrivasse in un posto senza far nulla. Diventavi personaggio nel momento in cui ti esibivi. L’errore è la confusione dei ruoli. La velina è giovane, bella e brava, come una volta le vallette. Ecco, ora che ci penso ho fatto anche la velina, ma non al Drive In. Per la Rai, in un programma con Gianfranco D’Angelo e Paola Tedesco che si chiamava “Ma ce l’avete un cuore?”: facevo gli stacchetti, poi la pubblicità... Quello che manca oggi è il livello successivo».
Cioè?
«La primadonna. Le ragazze che cominciano neanche hanno l’idea di cosa sia. Cioè hanno l’idea della bella vita, del benessere, delle copertine, non della fatica e del lavoro. Ma non è colpa loro, è che nessuno glielo chiede, nessuno glielo dice».
Cosa guarda oggi in tv?
«Striscia, Domenica In... X Factor mi piace; anche Zelig, che è una specie di Drive In. E poi i telefilm sul satellite, soprattutto quelli d’azione».
Ne farebbe anche uno?
«Al volo! Vorrei interpretare un’agente segreta, di quelle toste. Ma anche una casalinga disperata non mi dispiacerebbe: ho una vena comica, e una delle mie specialità è non prendermi sul serio».