Milano, 1 agosto 2011 - San Raffaele, risanamento in tre mosse: due nuove società, dismissione delle attività inutili e denaro da banche e Vaticano. Se il nuovo Consiglio d’amministrazione targato Santa Sede optasse per il concordato in continuità, non dovrebbe far altro che adottare il dettagliato piano di restyling finanziario messo in piedi dall’advisor Borghesi Colombo & Associati e ratificato (con tanto di relazione dettagliata) dallo studio del professor Giovanni La Croce. Da precisare che il management del Monte Tabor non ha ancora completato la ricognizione del bilancio, affidata agli analisti della Deloitte e al superconsulente Enrico Bondi, il risanatore della Parmalat: solo a conti fatti, verosimilmente a metà agosto, si scioglierà la riserva sulla proposta da consegnare entro il 15 settembre alla Procura di Milano; resta in corsa anche l’ipotesi di ricorrere alla cosiddetta procedura Marzano, alla quale possono accedere le società con più di 500 dipendenti e almeno 300 milioni di euro di debiti. Inutile dire che l’ospedale di via Olgettina soddisfa entrambe le condizioni: più di quattromila dipendenti e 1,4 miliardi di euro di debiti.

 

Torniamo al concordato, formula che bloccherebbe le ingiunzioni di pagamento dei fornitori e scongiurerebbe il fallimento del mega polo scientifico-sanitario. Innanzitutto, sostengono i consulenti, bisogna creare due Newco (società di nuova costituzione) denominate Holding Core e Holding Non Core, controllate totalmente dalla Fondazione; alla prima verrebbe conferito il complesso aziendale dell’Irccs San Raffaele, con relative attività e passività. Prevista la conclusione di uno o più accordi di ristrutturazione tra la struttura sanitaria e i suoi primi 20-30 fornitori strategici, che insieme rappresentano un debito di 300 milioni di euro: per loro è previsto l’integrale pagamento in tre-cinque rate annuali (senza interessi). Quindi, patto di investimento tra la Santa Sede - in tandem con l’Istituto per le opere religiose (Ior) - e il Monte Tabor, finalizzato al ripianamento di alcuni debiti e «al salvataggio del patrimonio umano, tangibile e intangibile della Fondazione». Altro passo: finanziamento-ponte di 50 milioni di euro dalle banche e aumento di capitale di 250 milioni dagli investitori (Ior). Infine, nuove linee di credito a breve e medio termine per 150 milioni. 
 

 

Passiamo agli assetti societari. Nella Holding Core finirà il ramo d’azienda che concerne attività sanitarie, ospedaliere e di ricerca, nonché una serie di contratti di leasing di immobili (in Brasile) e macchinari e il debito ipotecario derivante dal finanziamento di 165 milioni di euro della Banca europea per gli investimenti (Bei). Senza dimenticare altre attività core del San Raffaele, tra cui Laboraf e Finraf, e sette partecipate di cui disfarsi: dal 50% di Quo Vadis, nata per realizzare un’avveniristica struttura tra le colline del Veneto, a Blu Energy, la società che fornisce energia elettrica all’ospedale (a prezzi doppi, si vocifera, rispetto a quelli di mercato). E ancora, il 49% di Residenza alberghiera San Raffaele, il 100% di Resnati e le quote di Telbios (31,96%), Molmed (100%) e Science Park RAF. Tutto il resto (al momento sono ventidue le entità giuridiche che gravitano nell’orbita della Fondazione) finirebbe nella Holding Non Core, cioè in una bad company stile Alitalia: stiamo parlando di Air Viaggi (100%), VDS Holding (66%), Società agricola Monte Tabor (95%), Oasis Administracao (90%) e Dhitech; al macero, tanto per intenderci, coltivazioni di mango nel Pernambuco e jet privati. Può bastare? Enrico Bondi è già al lavoro per avere un quadro completo delle attività estere e avviarne la vendita. Sarebbe ossigeno puro per le casse di via Olgettina.