Milano, 27 luglio 2011 - L'assessore regionale allo Sport e giovani Monica Rizzi è sotto inchiesta. Ieri, uomini della Guardia di finanza le hanno perquisito casa e uffici: l’ipotesi di reato è trattamento illecito di dati protetti. Rizzi avrebbe collaborato al “dossieraggio” servito tra l’altro, secondo la procura di Brescia, a far conquistare a Renzo Bossi, figlio del senatur, un seggio al Consiglio regionale. A Brescia sono tre i fascicoli aperti per questa vicenda.

 

Il primo è stato avviato d’ufficio in seguito alla pubblicazione sul settimanale “L’Espresso” di un articolo nel quale si dava conto di un’attività di dossieraggio condotto nell’ambito della Lega Nord bresciana. I due autori dell’articolo individuavano il maresciallo delle Fiamme gialle, Francesco Cerniglia - legato alla sedicente maga (ma anche investigatrice privata) Adriana Sossi - come il “fabbricatore” dei dossier, che sarebbero stati utilizzati per eliminare dalle liste del Carroccio per le scorse regionali elementi “scomodi”, tra i quali Ennio Moretti e il segretario provinciale Stefano Borghesi.

 


Dossieraggio che sarebbe avvenuto, secondo l’accusa, con l’acquisizione illecita di dati “sensibili” delle persone prese di mira, da quelli finanziari a quelli relativi alla vita privata dei candidati. La manovra sarebbe servita, sempre secondo l’articolo, per favorire l’elezione del giovane Bossi, candidato e poi eletto al Consiglio regionale proprio nella circoscrizione di Brescia.

 


Il secondo fascicolo è scaturito da un esposto presentato lo scorso aprile in Procura da uno dei due autori dell’inchiesta giornalistica, Leonardo Piccini, che sarebbe stato a suo volta vittima del dossieraggio, così come Marco Marsili, ex responsabile della comunicazione dell’assessore Rizzi, che a sua volta ha dato il via con un esposto a un terzo filone d’inchiesta. Rizzi era già stata al centro di un’altra indagine che la vede indagata per usurpazione di titolo, abuso di professione (si sarebbe spacciata per psicologa, pur non essendolo) e truffa ai danni dello Stato per una consulenza di mille euro ottenuta dalla Provincia grazie a un curriculum non veritiero. «L’assessore Rizzi non ha nulla da temere» afferma il suo avvocato Alessandro Diddi.