Milano, 26 luglio 2011 - Quel colpo di Smith & Wesson. I funerali del suicida Mario Cal in basilica. Il vecchio fondatore prostrato sul feretro del suo braccio destro. Il nuovo management della Santa Sede in ufficio anche la domenica. Gli ultimatum della Procura: «Salvataggio in due mesi o fallite». E i sospetti su contabilità parallele e investimenti sballati. Scene da un crac umano e finanziario. «Rischiamo di andare a fondo». Trascinati da un megadebito di un miliardo di euro.

I quattromila lavoratori del San Raffaele non vogliono guardare giù. Sotto i loro piedi si sta progressivamente spalancando una voragine. Sorride amaro un camice bianco del polo scientifico-sanitario di via Olgettina: «Lassù stanno decidendo il nostro futuro», l’indice puntato verso i finestroni sessanta metri più in alto. Al settimo piano del Ciborio, in cima alla struttura faraonica sormontata da una scultura in vetroresina dell’arcangelo protettore dei viandanti, si lavora «a ritmi infernali», confessa uno dei membri del board insediatosi dieci giorni fa. Tutti riuniti in quel palazzone da 50 milioni di euro che domina il traffico della tangenziale, diventato il totem dello sfarzo di don Luigi Verzé. Il manager di Dio.

Il sacerdote rivoluzionario. Che ha sfidato la dottrina ufficiale della Chiesa, fino a confessare di aver staccato la spina a un amico malato. Che nella sua biografia si è permesso di dare dieci consigli al Pontefice, invitandolo a ripensare celibato del clero, sacerdozio femminile e sacramenti ai divorziati. Verzé l’eretico, che ha sempre rifiutato di accostare la sua creatura al cattolicesimo, rivendicando la laicità del Monte Tabor. Che negò alla diocesi di Verona, dove si trova la casa madre della Fondazione, due posti in Cda. Oggi il colosso fondato nel ’71 rischia di franare: «Quarant’anni in fumo».

E all’orizzonte si materializza la sagoma del cardinale Tarcisio Bertone, il vero deus ex machina dell’operazione-rilancio. «Cosa ne sarà della ricerca scientifica?», si sussurra nei corridoi. Frasi senza volto, il muro di silenzio fatica a sgretolarsi. Eppure, identici angosciati interrogativi si pongono sulla fecondazione assistita, mai digerita Oltretevere. Per non parlare dell’Università Vita-Salute. E della sua facoltà di Filosofia, di stanza nella splendida cornice del Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno: nata nel 2001, guidata dall’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, una sorta di remake in salsa brianzola della Scuola di Atene. Nessuna censura, ci hanno insegnato - o ci insegnano ancora - teologi progressisti come Vito Mancuso e Roberta De Monticelli.

E adesso? «Prima o poi affronteremo anche questi temi», taglia corto Tiziana Scalco, segretaria della Camera del lavoro di Milano. Come dire, ci sono problemi più seri da risolvere. Ieri mattina era in programma un’attesa riunione tra i rappresentanti sindacali e i responsabili del personale: niente di fatto, l’azienda ha chiesto qualche giorno in più. «Tutto rinviato a venerdì». Ci sarà anche Giuseppe Profiti, il vicepresidente plenipotenziario, già direttore generale delle Risorse finanziarie della Regione Liguria e numero uno del Bambin Gesù di Roma. Fedelissimo di Bertone, che ne apprezzò le doti gestionali quando era arcivescovo di Genova, nel suo passato spunta anche qualche ombra: solo tre settimane fa, è stato condannato in appello (sei mesi con la condizionale) per concorso in turbativa d’asta nell’inchiesta sulle presunte tangenti per gli appalti delle mense ospedaliere di Savona. «Meglio non pensarci - va al sodo un medico -.

Ora vogliamo solo che ci tirino fuori dalle sabbie mobili: siamo a un passo dal fallimento». Ma un suo collega incalza: «Molti sapevano che c’era qualcosa che non andava, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di esporsi». Chi lo ha fatto è stato silurato senza troppi complimenti. Come l’ex direttore generale Renato Botti, richiamato dagli uomini del Vaticano per occuparsi della struttura sanitaria.
 

Il coraggio di dire no forse è mancato a Mario Cal, che per anni ha avallato le scelte del prete. Ha pagato un prezzo altissimo. «Per colpe non mie», l’ultimo messaggio. E di chi allora? «Del suo gemello Luigi - confessa un ex dipendente del San Raffaele -. Solo lui poteva mettere in piedi quelle operazioni che stanno portando alla rovina un centro d’eccellenza mondiale». Coltivazioni di mango nel Pernambuco, resort a quattro stelle in Sardegna, impianti per la produzione di energia elettrica. Piccole falle. Mese dopo mese, il San Raffaele ha iniziato a imbarcare acqua.

«Possibile che il buco si sia creato in pochi mesi?». E torna alla mente lo sfogo di Cal: «Dobbiamo cambiare referenti politici - rivelò ad alcuni fidati dipendenti ad aprile - le banche mi stanno creando problemi». Ora gli istituti di credito più esposti aprono a un finanziamento-ponte da 50 milioni («Noi non ci tireremo indietro», assicura Mario Ciaccia, dirigente di Intesa Sanpaolo), a patto che il Cda scelga la strada del concordato preventivo. L’unico modo per fermare l’emorragia di decreti ingiuntivi di pagamento: ne sono arrivati già otto per 49 milioni, i fornitori battono cassa.

«Dobbiamo fare in fretta: ci sono riserve per un mese o poco più». Lo hanno messo nero su bianco anche gli analisti della Deloitte, che parlano di un fabbisogno di cassa immediato di 55 milioni di euro. E don Verzé? Se ne sta per ore nella sua cascina ristrutturata, sconvolto dalla morte di Cal e di fatto estromesso dalla gestione diretta del suo ospedale. «Il Vaticano si è preso la rivincita: speriamo non la consumi sulla nostra pelle», attaccano i lavoratori. Lui, il sacerdote, ha perso. Aveva detto in tempi non sospetti: «Il mio successore? Un laico». Non sarà così.