Milano, 10 giugno 2011 - Quanto tempo costa la democrazia? Mezz’ora, solo per leggere i quesiti. Una vita intera di studi, forse, per capirli. I quattro referendum nazionali e i cinque locali sembrano scritti apposta dall’ufficio complicazione affari semplici. A dimostrarlo è bastato un piccolo esperimento, una simulazione, con i fac-simile delle schede. La matita copiativa pronta, l’animo disposto, ci siamo infilati nella nostra cabina elettorale. Appoggiare i nove fogli, aperti, sul ripiano è già opera da equilibrista. In più, vietato sovrapporli mentre si vota. Se no, tracciando la croce sul sì o sul no con la matita copiativa, potrebbe significare sporcare anche quelle di sotto. Annullandole.

Quindi, ordine, si parte. Il cronometro conta zero. Si parte dai quesiti locali, i cinque referendum milanesi. Scheda rosa, quesito sulla riapertura dei Navigli e della Darsena. «Volete voi che il Comune provveda alla risistemazione della Darsena quale porto della città ed area ecologica e proceda gradualmente alla riapertura...». Facile. Voto subito. Trenta secondi e la scheda è chiusa. Quesito quattro, scheda azzurra. La domanda si avvita, con circonlocuzioni e cinque punti diversi, per chiedere se vogliamo ridurre l’emissione di gas nocivi nell’ambiente del 20 per cento. Ci vuole un minuto e mezzo. Voto, ma non ho capito a fondo tutti i termini del quesito: troppe cose insieme. Teleriscaldamento, demolizione degli edifici vecchi, incentivi per cambiare le caldaie. Un po’ tremante, apro la terza scheda. Quella lilla. Poche righe. Qui si capisce. Mi chiedono se voglio che il parco che sarà costruito per Expo resti per sempre. E voto in un lampo: trenta secondi. Ci vuole solo un minuto per leggere fino in fondo il quesito due, quello azzurrino. Ma non lo capisco del tutto. «Volete voi che il Comune di Milano adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a ridurre il consumo del suolo destinando almeno il 50 per cento delle grandi superfici oggetto di riqualificazione urbanistica». Ma che vuol dire, nel concreto? Non lo so, fidiamoci e proviamo a votare. Allettante l’idea di avere un parco a 500 metri da casa. Ma sarà possibile?

Intanto il tempo passa. Tre minuti. E l’ultimo referendum milanese è un incubo grammaticale. Chiede se vogliamo aria pulita, più trasporto pubblico, ed estendere l’Ecopass fino alla cerchia ferroviaria. Ma lo dice con mezza pagina e chiama la tassa sul traffico «sistema di accesso a pagamento». Ma il premio all’espressione più oscura va alla frase che propone la «preferenziazione di tutte le linee di trasporto entro il 2015». Scrivere «corsie preferenziali» pareva brutto. I padri della lingua italiana, intanto, si rivoltano nella tomba. E noi, per leggere e votare, ci mettiamo finora cinque minuti.

 

Ma il peggio deve ancora arrivare. Ora passiamo ai referendum nazionali. Mentre fuori, al seggio, già si sarebbe formata la coda. Scopriamo che due referendum, scheda rossa e scheda gialla, si occupano d’acqua. Ma noi iniziamo da quello politico. Quello dedicato al premier. Si legge la frase: «Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, numero 51, in materia di legittimo impeditmento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale». Seguono due righine succinte, con l’elenco degli articoli da tagliare. Sì, qui il tema è noto. Se ne parla da anni. E un’opinione ce l’ho già. Voto. E intanto, sono in cabina da 8 minuti. Fuori, forse, stanno già chiamando un’ambulanza. Fiducioso passo al nucleare, scheda grigia. Il colore è un presagio di pesantezza. Davanti al naso mi si apre una valanga di parole, un testo microscopico, illeggibili. Ma io voglio sapere. Le leggo dall’inizio alla fine. Sono 15.900 parole.

Ci metto 17 minuti esatti. Sono sudato e non ci vedo più. Uno più anziano di me sarebbe già stramazzato al suolo, ma io resisto. Con mano malferma traccio la croce sul mio segno. Cedo, però, davanti alle ultime due schede. Quelle sull’acqua. E di acqua avrei proprio bisogno per schiarirmi le idee. I due quesiti, non lunghissimi, mi chiedono nell’ordine se voglio abrogare l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. La parola acqua non c’è, ma io capisco che si tratta di questo. Perché? L’ho letto da qualche parte. Nella scheda gialla, invece, si chiede, in sostanza, se è giusto che la tariffa del servizio idrico (bolletta dell’acqua, per i mortali), debba remunerare il capitale investito. Cioè se i privati debbano guadagnarci. Ormai, abituato al linguaggio da leguleio, voto, chiudo e consegno le nove schede allo scrutatore. Mi guarda esterrefatto: è passata mezz’ora.