Milano, 10 giugno 2011 - «Era l'unico figlio, mio figlio... Mio figlio», sussurra ossessivamente la mamma di Pietro Mazzara, 28 anni, investito e ucciso ieri mattina poco prima dell’alba da una banda di ladri in fuga dopo un furto. «L’ho sentito proprio ieri sera, forse sono stata l’ultima persona con la quale ha parlato - ricorda tra i singhiozzi - mi diceva che era stata invitato a un matrimonio e che doveva comprarsi un abito per l’occasione...».

Poi non ce la fa più a parlare, travolta dall’emozione. Una donna poco più che cinquantenne, capelli ingrigiti e la schiena piegata da un lavoro pesante in una cooperativa di servizi in zona Garibaldi. Mostra più dell’età che si porta dietro, sicuramente quella maledetta telefonata le ha portato via in un attimo una decina di anni di vita.

I vigili urbani intervenuti alle 5 in via Arsia - dove la Bmw dei ladri nomadi ha centrato violentemente la Citroen di Pietro Mazzara, uccidendolo sul colpo - hanno faticato a rintracciare i familiari. Hanno evitato di fornire i dettagli delle generalità ai giornalisti per scongiurare che i genitori sapessero della tragedia dalla radio o dalla Tv.
Un dolore composto ma inconsolabile, il loro. Il padre Salvatore, originario della provincia di Caltanissetta, ferroviere in pensione, appare più rassegnato che arrabbiato. Previene la domanda che sa già che tutti vorrebbero fargli: «Se li prendono? Magari li prendono pure ma poi non rimangono in galera abbastanza...», lascia intendere dei ladri nomadi che hanno investito il figlio.

Ha saputo i particolari della notte maledetta. Gli hanno detto del furto al bar, della fuga con la Bmw e poi dell’arresto solo di due minorenni: quelli che stavano dietro nell’auto assassina. Altri due sono fuggiti. «Anche se li prendono...», scuote la testa. E, riferendosi alle leggi troppo permissive, aggiunge: «Forse aspettano che qualcuno si faccia giustizia da sé». Ma sono riflessioni dettate dalla disperazione, non dal rancore.

E il pensiero torna al figlio. Un’immagine che difficilmente si cancellerà dalla sua testa: «L’ho visto con gli occhi aperti, la faccia insaguinata...». È accanto alla ex moglie Domenica. Racconta in poche battute quel matrimonio interrotto quando già Pietro era grande: «Ha accettato la nostra decisione, non sembra che avesse sofferto più di tanto». Marito e moglie hanno imboccato due strade diverse. Due vite differenti e elontane: lei in provincia di Pavia e lui a Baranzate, appena fuori Milano.

Poi il ricordo di quel figlio tanto amato: «Era appassionato di pugilato, frequentava una palestra di Bollate». Poi il cruccio di un lavoro che faceva fatica ad ingranare. «Faceva l’operaio, ma lavorava poco... Da un anno si guardava attorno alla ricerca di qualcosa di meglio. Ma con risultati scarsi». All’obitorio c’è anche Sabrina, la ragazza di Pietro, capelli lunghi e occhi arrossati dal pianto. Non ha la forza di parlare e ha bisogno di tempo per raccogliere le idee, fare ordine nella sua testa e accettare l’idea che «il mio Pietro non c’è più». Erano insieme da quattro anni.