Milano, 19 ottobre 2010 - L'ultima traccia certa è all’Arco della Pace. Gli inquirenti l’hanno trovata nelle immagini del video di un sistema di sicurezza, le cui telecamere puntano dritte sulla strada. Lea Garofalo, la madre-coraggio di 35 anni che ha sfidato i clan della ’ndrangheta, cammina sul marciapiedi. È la sera del 24 novembre del 2009, l’ultimo giorno di vita della donna scomparsa nel nulla e ricercata per mesi fino alla tragica scoperta del suo omicidio, raccontato da due pentiti. Un’esecuzione per la quale ieri sono state arrestate sei persone.

 

Dai fotogrammi il racconto attimo per attimo dell’ultima sua sera. La Chrysler Voyager guidata dall’ex convivente Carlo Cosco accosta e fa salire la figlia Denise, arrivata con la madre dalla Calabria per decidere con le zie cosa fare dopo le superiori. Lea, che l’ha tenuta per mano fino a un attimo prima e che per lei ha deciso di tornare a Milano, sfidando la sorte, non partecipa alla riunione in viale Montello 6: teme per la sua incolumità, resta sola in attesa del ritorno dell’ex convivente. Lei, anni fa, l’aveva denunciato e per questo era finita nel programma di protezione. Quella sera a Milano, però, è indifesa. E non si aspetta la vendetta del clan.

All’Arco della Pace la donna viene trascinata di forza sul furgone con Massimo Sabatino e il trentaduenne Carmine Venturino. Il furgone imbocca la superstrada Milano-Meda, poi fa una breve sosta per far salire anche Vito «Sergio» Cosco, 41 anni, e Giuseppe «Smith» Cosco, 46, fratelli di Carlo, i due arrestati ieri in viale Montello. Il furgone, sul quale ci sarebbero stati anche contenitori con circa 50 litri di acido, si rimette in marcia fino a un fondo privato nel quartiere San Fruttuoso di Monza, vicino al cimitero. Un terreno di proprietà di Gaetano Crivato, arrestato il 22 febbraio scorso a Milano insieme alla moglie Giuseppina Malarota di 35 anni, con l’accusa di favoreggiamento.

Lea Garofalo, legata e imbavagliata, sarebbe stata quindi portata di peso in una casupola del fondo e qui interrogata, molto probabilmente subendo anche violenza. Infine, l’assassinio a sangue freddo, con un colpo di pistola. A questo punto il cadavere, secondo quanto hanno raccontato gli uomini del clan finiti in carcere, è stato disteso sopra pesanti teli di plastica e completamente ricoperto di acido. Il corpo della donna piano piano si sarebbe sciolto senza lasciare traccia; sparita nel nulla anche l’arma usata dai killer. Elementi utili o indizi non sono emersi neppure dagli scavi effettuati dai carabinieri nei terreni di San Fruttuoso. Ma le prove, raccolte dai militari a carico degli arrestati e corroborate dalle confessioni dei collaboratori di giustizia, «sono schiaccianti e non lasciano dubbi».

 

Dalle indagini dei militari, coordinate dai tenenti colonnelli Lorenzo Falferi e Antonino Bolognani, è emerso che il progetto operativo del sequestro, dell’omicidio e della soppressione del cadavere di Lea sarebbe stato definito in una pizzeria di via Valtellina. Lo scrive il gip Giuseppe Gennari, riportando le dichiarazioni del collaboratore Salvatore Sorrentino, relative a quanto confidatogli in cella da uno dei partecipanti, Massimo Sabatino. «Nel riferire ciò che Sabatino gli ha raccontato - si legge nell’ordinanza di arresto - Sorrentino ripercorre gli atti preparatori che hanno portato al sequestro e gli avvenimenti di quella notte. Sorrentino ha riferito che Sabatino dopo un periodo di distacco dai Cosco, dovuto al fallimento dell’azione di Campobasso (il precedente tentativo di uccidere la donna, ndr), si era riavvicinato, tanto da accettare di prendere parte al sequestro di Lea Garofalo». L’intento dei fratelli Cosco, in particolare di Carlo, era quello di conoscere il tenore delle dichiarazioni rese dalla donna davanti all’autorità giudiziaria, motivo per il quale, già nel maggio 2009, era stato organizzato il tentativo di sequestro in Molise, successivamente fallito.