Milano, 18 ottobre 2010 - Il codice etico, alla fine, non si farà. Non lo vuole il Pdl, pur con qualche distinguo. E neppure il centrosinistra, pur avendolo proposto, è compatto. Il caso delle pubblicità a sfondo sessuale, mega poster sei metri per sei appesi in città, divide il mondo politico fra censori tout court e liberali irremovibili.

A Palazzo Marino, nel corso di una commissione per istituire un organismo che disciplini l’affissione dei manifesti-spot, succede di tutto. Patrizia Quartieri (Prc) e Raffaele Grassi (Idv) vestono i panni di Savonarola e difendono “la dignità delle donne”, il cui corpo nudo viene esibito per vendere un prodotto. Nel frattempo, fuori microfono, Guido Manca (Pdl) manda al diavolo un gruppo di femministe presenti in aula. Sullo schermo, il rappresentante dell’Organismo di autotutela pubblicitaria fa scorre le immagini e le scritte censurate.

«Abbiamo le poppe più famose d’Italia», recita lo slogan di una compagnia che vende crociere. Premessa accattivante per una vacanza. I milanesi, prima della ghigliottina del giurì, hanno potuto ammirare questi poster. Come quelli dei due poliziotti intenti in una perquisizione hard sotto i vestiti di una famosa griffe, indossati da avvenenti fanciulle. O ancora, le ragazze vestite sadomaso e legate a una sedia, per reclamizzare una marca di borse. E poi ci sono i manifesti più creativi che, censurati in via preventiva, non hanno nemmeno avuto il tempo di arrivare sul suolo milanese.

 Qualche esempio. «Montami a costo zero» è lo slogan di una ditta di caldaie. «Le cose belle dell’estate» (con due seni giganti in vista) è invece la frase a effetto di un produttore di mozzarelle. C’è chi sceglie due ragazze seminude per affittare furgoni: «Noi ve la diamo anche a noleggio». Inutile scomodare «La passera delle vigne», perché qui basta il nome dell’azienda per destare curiosità. «Fidati, te la do gratis» è il consiglio di una fanciulla mora che però, subito dopo, si affretta a specificare l’oggetto, cioè “la montatura”. Si parla di occhiali, ci mancherebbe. Per i liberal del Pdl, Giulio Gallera, Fabrizio De Pasquale e Carola Colombo, «un codice etico sarebbe antistorico, perché il senso del pudore, ormai, cambia ogni due anni». Unica voce fuori dal coro, quella di Carmela Rozza: «Ognuno deve essere libero di vestire e posare come crede. Se no, dalla censura, si arriva al burqua».