Milano, 7 settembre 2010 - Un coro di no, interrotto da qualche «sì» convinto e da parecchi «sì, ma». È questa, a sentire la gente a spasso per corso Buenos Aires, la risposta dei milanesi all’idea di costruire una moschea a Milano. Intanto, il vicesindaco Riccardo De Corato propone un più organico referendum cui subordinare il via libera, attizzando il dibattito riaperto dal cardinale Tettamanzi col suo appello a dare «con urgenza» un luogo di culto agli islamici di Milano.

 

Per qualcuno il no alla moschea è no e basta. Perché «non sono razzista, ma una persona che arriva in un paese deve adeguarsi alle sue regole», dice Desirée Cifarelli. È «una questione di democrazia» per Matteo Parati: «Se nei loro Paesi non puoi costruire una chiesa, perché loro dovrebbero poterlo fare da noi?». Per molti, “Paese islamico” è solo l’Iran o l’Arabia saudita. E quando si parla di una moschea a Milano, si pensa istintivamente a viale Jenner, la gente che prega sul marciapiede. Alberto Monopoli: «Sono favorevole solo se la costruiscono più decentrata. È un problema di convivenza».

È molto contrario, invece, al fatto che sia l’arcivescovo a sollecitarla: «La considero un’ingerenza». Ce l’ha col Vaticano anche Francesca Danza, un sì convinto: «Sono appena tornata da Cracovia, là mi hanno chiesto perché a Milano non abbiamo una moschea. Ho risposto che siamo un Paese cattolico, sottomesso alla legge divina». E poco importa che a spingere per dare una cattedrale ai musulmani sia la guida suprema della Chiesa ambrosiana.

A scavare dietro i niet, si scopre che la reazione difensiva è spesso innescata dal dubbio. «Se fosse soltanto un luogo di preghiera andrebbe benissimo - argomenta Giovanna Minoia -. Ma cosa c’è davvero in viale Jenner?». «Credere in Dio è una bella cosa, tutti hanno diritto ad avere un posto dove pregare - riflette Bianca -. Diciamo che questa moschea dovrebbe essere gestita da persone che siano seriamente islamiche». «Deve essere una cosa pulita, senza secondi fini - traduce Maria Di Pace -. Purtroppo tra i musulmani, come tra i cristiani, ci sono persone che si servono della religione per fare i propri comodi». Difficile stabilire in cosa si tradurrebbero questi «sì, ma» posti di fronte alla scelta manichea di un referendum.<EN>Sul fronte politico la proposta di De Corato, per il quale la questione è materia di «sicurezza», trova una sponda ministeriale in Andrea Ronchi: «I milanesi devono potersi esprimere su un tema così delicato».

 

Sottoscrive Alessandro Morelli, rappresentante della Lega in giunta, precisando che, per lui, le moschee di via Meda e di Segrate sono più che sufficienti e invitando chi «sente il bisogno di farsi latore della necessità della comunità islamica» a farsi «anche garante del rispetto della legalità da parte degli imam». Per l’assessore alla Sicurezza del Pirellone Romano La Russa «il diritto di culto è sancito dalla Costituzione e va garantito, ma nel rispetto della legge e della sicurezza».

Davide Boni, presidente leghista del consiglio regionale, si fa latore del mal di pancia dei milanesi: «Voglio da parte di chi chiede la moschea una grande trasparenza, dopo di che potremo ragionare». La soluzione De Corato è irricevibile per Daniele Farina di Sel («Sconcertante che l’apertura di luoghi di culto si voglia sottoposta a referendum»), ma anche nel centrodestra c’è qualcuno che non la sposa. Per l’assessore alla Salute Landi di Chiavenna «la politica deve assumersi la responsabilità di decidere»; per Carlo Fidanza, consigliere comunale pdl, «serve una legge nazionale per regolamentare il far west». Mentre Enrico Farinone, deputato del Pd, domanda: «Non è meglio una moschea autorizzata invece che disseminare la città di centri culturali poco controllabili?». Dice la sua anche il filosofo Massimo Cacciari: «Facciano la moschea, ma se la paghino loro».