Milano, 8 agosto 2010 - Cercava soldi, Oleg Fedchenko, i soldi che un suo connazionale - a suo dire - gli doveva e non gli aveva dato. Era uscito di casa, alle otto del mattino, dicendo: «Ho litigato con... Non mi ha dato quello che mi doveva. Ora i soldi li recupero io». Può essere un movente, per puntare alla faccia di una donna, e picchiare e picchiare in testa fino a ucciderla? Un movente lo scippo tentato, lei che trattiene istintivamente la borsa, e l’esecuzione, successiva, in piena strada? Fra gente atterrita, mentre un uomo-arma massacra a morte.

Doveva 2.500 euro a sua madre Larisa, l’ex muratore ucraino. C’era un rapporto difficile tra lui, lei e la fidanzata di lui, la lituana Annette. Che non l’aveva lasciato, che veniva - racconta a verbale - puntualmente lasciata: «Ora mi diceva ti amo, ora mi diceva non ti amo, a seconda se stava lontano o vicino alla madre». Lei la stessa mattina del massacro, riceve un sms allegro e di buongiorno: «Andiamo all’Acquario di Genova, dopo». Ma poi che succede, dopo il risveglio, con la madre Larisa, che non apprezza Annette o suo figlio con Annette, e a cui lui deve quei soldi, quelli per i quali esce in strada, appena prima di dire: «Ai soldi ora ci penso io».
 

Sedato, piantonato, pericoloso. Impossibile interrogarlo, ieri e oggi, Oleg Fedchenko, 25 anni, pugile agonista della Doria, assassino, con le proprie mani, della prima passante incontrata per strada. Una madre filippina, Emlou Arvese, 41 anni, due figli appena accompagnati in piscina. Che incontra il Destino mentre sta andando al lavoro, lui che tenta di strapparle la borsa, lei che istintivamente la trattiene: e il primo colpo violento in pieno viso le fa sbattare la testa contro la vetrina del Monte dei Paschi di Siena di viale Abruzzi. Cade, Amlou, forse sviene: seguono alcuni minuti di cazzotti in pieno volto e in testa. Lei a morirne, lui a fratturarsi le mani. Nessuno può fare altro, davanti a tanta furia, che chiamare soccorsi. E l’autopsia, che verrà effettuata mercoledì, non dovrà fare altro che ricostruire il massacro di quella povera testa.

Per il pubblico ministero Francesca Celle, non c’è troppo da avventurarsi in ricostruzioni psicologiche su fidanzate e madri. C’è omicidio volontario, aggravato dalla crudeltà, dai futili e abbietti motivi e dalla rapina. Dalla volontà di rapinare. E tentata rapina, c’è. Un punto chiave: viste le testimonianze del tutto concordanti.
I problemi psichici di Oleg certo avranno il loro peso: sono testimoniati da un ricovero che risale al 2007. Da questo emerge che Oleg si presentò in stato confusionale, fuori di sé: «Ho fumato qualcosa, hascisc, forse popper» avrebbe detto. Di tutto ciò deve essere acquisita la documentazione. Nulla comunque ha ostato al rilascio dell’autorizzazione a un’attività agonistica come il pugilato. Lo stesso avvocato che lo difende, Francesca Maria Rosa Santini, deve ancora ricevere il materiale, anche se già dalla famiglia ha saputo di alcuni pugni ricevuti in testa da Oleg durante gli allenamenti, che potrebbero avergli creato dei problemi, e che aprono la strada a richieste di consulenze psichiatriche di parte e d’ufficio.

Poi ci sono le numerose armi trovate in casa del giovane: lame di svariate misure, tra i quali un coltello da collezionismo, intitolato «Rambo», la cui lama fa pensare più a un machete che a un coltellino da cucina. Eppure, nessuno, né madre né fidanzata, parla di crisi di violenza da parte di Oleg: «Solo quando era sul ring» dicono a verbale.

Un giovane salutista, attento a mangiare e bere, un atleta. Un precedente minimo, per un furto, anni prima. La strana storia del suo permesso di soggiorno, falsificato, nonostante ne avesse pieno diritto. La sera prima dell’omicidio, una giornata, quasi per intero trascorsa con Annette, «serenamente» dirà lei, fino alle dieci di sera. La buonanotte un volta giunto a casa, l’sms la mattina dopo. Poi l’agitazione di Oleg sul connazionale che non gli ha dato i soldi. E la telefonata della madre Larisa alla polizia, dopo che lui è uscito di casa poco prima delle otto: «Mio figlio va dicendo che ammazzerà la prima che passa».  Potrebbe dirlo, oggi, perché, Oleg al pubblico ministero che tenterà di interrogarlo e al giudice delle indagini preliminari Cristina Di Censo, sempre sia in grado di contenersi.