Milano, 13 maggio 2010 - Educato, disponibile, operoso. E soprattutto insospettabile, come può esserlo solo il custode-centralinista di un prestigioso convento di suore del centro di Milano, l’Istituto Madre Cabrini di corso di Porta Romana (risultato del tutto estraneo alle indagini). Così, nell’istituto religioso, viene ricordato Josè Cervantes, il narcotrafficante peruviano di 44 anni arrestato dai cabinieri del Comando provinciale di Piacenza. Sono andati a prenderlo martedì notte a casa sua, a Rogoredo, dove stava da una ventina di giorni, dopo essersi fatto due anni di carcere per droga.

 

Poi, ieri mattina, è stato interrogato dal gip Franco Cantù Rajnoldi, al quale ha spiegato di aver lavorato per più di 10 anni nell’istituto religioso. Il «Madre Cabrini», che si trova in corso di Porta Romana, non è un convento, ma un’opera educativa delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, che comprende una scuola primaria e secondaria e un pensionato femminile che ospita molti studenti universitari. Il gip gli ha contestato di aver organizzato un viaggio da Lima in Perù, a Linate, nel corso del quale alcuni connazionali avrebbero trasportato carichi di droga. L’uomo, stando alle indagini, sarebbe stato uno dei tanti canali che gli altri arrestati, legati alla ‘ndrangheta calabrese e con base nel Piacentino, usavano per il traffico di cocaina. Gli inquirenti hanno escluso, inoltre, che il sudamericano possa aver usato l’istituto religioso come base dei traffici o che altre persone dello stesso istituto abbiano partecipato all’attività illecita.

In pratica, all’insaputa di tutti, Cervantes ha usato fino a due anni fa l’istituto di suore come copertura. Devoto e gentile, con una perfetta padronanza della lingua italiana, oltre che di quella sua naturale spagnola, non ha fatto fatica con il tempo a conquistarsi l’assoluta fiducia delle religiose, svolgendo anche lavori di giardinaggio e raccolte di abiti per la Caritas. Una pasta d’uomo, insomma, che a un certo punto decide di occuparsi anche di cocaina ed eroina per conto delle ’ndrine calabresi trapiantate in Lombardia. D’accordo con i boss, comincia a far dormire nel pensionato dell’istituto i corrieri della droga.

 

Si tratta sempre di donne sudamericane, provenienti da paesi come Ecuador, Messico, Argentina, Perù, le quali fingono di essere in pellegrinaggio, ma in realtà portano carichi di 3-4 chili di cocaina nascosti nelle valigie. Gli arrivi sono mensili e le donne viaggiano in doppia coppia, in modo da aggirare i controlli alle dogane degli aeroporti di Linate e Malpensa. Se una coppia viene fermata, subito dopo passa l’altra approfittando degli agenti impegnati a controllare.

Poi, all’uscita, trovano il custode che le accompagna fino all’istituto milanese, dove trovano un letto per dormire. Ma appena arrivate, le donne portano a termine il compito loro assegnato. Tirano fuori dalle valigie la cocaina e usando l’auto del custode vanno a consegnarla agli emissari delle cosche in varie città lombarde. Poi tornano e si fanno due giorni di bella vita. Per il loro servizio vengono pagate dai narcos 500 euro a testa, oltre a ristoranti e locali di lusso. Infine, il viaggio di ritorno con i biglietti aerei pagati. E ad accompagnarle all’aeroporto ci pensa sempre lui, l’insospettabile custode.