Coppia dell'acido, "Non erano solo cinque i bersagli. In quella lista ho visto molti nomi"

Il pentito Magnani: me ne resi conto quando bruciammo le prove

Andrea Magnani scortato dalla polizia penitenziaria a Milano

Andrea Magnani scortato dalla polizia penitenziaria a Milano

Milano, 3 ottobre 2015 -Cinque, dieci o quindici? Quante vittime. E quanto odio armava la coppia dell’acido se - con uno di quei piccoli exploit a rate di cui Andrea Magnani il bancario è maestro - nella cartelletta nera bruciata a Viboldone da Martina Levato e lo stesso Magnani subito dopo l’agguato a Pietro Barbini, lui vede una lunga sfilza di nomi. "Parecchi nomi". Il fatterello passerebbe inosservato nel contro esame fiume del bancario complice “inconsapevole” - così lui si passa - se il legale di parte civile Paolo Tosoni non glielo chiedesse. Nella cartelletta, oltre ai nomi da Magnani già indicati perché intravisti poco prima di dare alle fiamme le bottiglie d’acido e la tracolla nera con la scritta rossa con cui Martina era andata alle spedizioni contro Savi e Barbini, c’erano i nomi dei cinque noti (tra cui la sorella di Pietro e un ex flirt londinese di Martina) e molti altri. "Sì, diversi altri", risponde diligente e con nonchalance. Ma non ricorda quali. Troppi. Ciò non toglie che Andrea sia «pentito» - su sollecitazione dei numerosi difensori delle tre parti civili, Margarito, Savi e Carparelli - «per quel che è successo a un ragazzo»,

Pietro, e magari anche per l’altro, ragazzo, Stefano, che siede - immagine dello scempio del clan del muriatico - con un sorriso attento e ironico nell’aula dove Magnani fa il pentito dell’acido. Il bancario regge al contro esame. Non serve - come fa strenuamente la difesa di Boettcher (Alessandra Silvestri) evocare oscure frequentazioni politiche nei centri sociali, per minarne la credibilità sul coinvolgimento di Boettcher. Magnani gioca d’anticipo: "Io e Alex siamo molto distanti, lui ha una concezione cinica della donna, e una connotazione razzista. Io sono antirazzista, antissesista e pacifista". Ma, "dall’episodio in cui mi chiamò dicendomi che Martina aveva subito un tentativo di stupro, il 20 maggio, scattò amicizia, e comune sentire". E poco serve, senza una pezza d’appoggio, l’ombra di complicità legate al solo Magnani, citando persone che il bancario, nel carcere di Opera, aveva chiesto al padre di contattare.  Matteo A.., esperto di computer, potrebbe avere, per la difesa di Boettcher, ripulito il suo computer da presenze scomode. Poi i difensori scivolano su un numero - sbagliato per eccesso (non erano 16 telefonate ma una e alcuni sms) - di contatti misteriosi tra Magnani e il Matteo, la sera del 28 dicembre, quando Barbini fu aggredito. Ma restano i punti oscuri sul ruolo di Magnani. L’ordine dell’acido fatto dal suo Pc e con la sua carta di credito (lui dice su richiesta di Boettcher che lo fa passare per un regalo per Martina). Quando il pacco arriva, il bancario non guarda cosa c’è dentro né cosa c’è sulla bolla (acido solforico concentrato al 93/97%): "Il pacco mi fu consegnato la sera alle 11,30 dal portinaio". E della notte al Divina, quando il trio cerca il fantomatico testimone per Martina e quando Savi sarà scambiato con Carparelli (finendo nel gorgo degli acidati), Magnani non sa dire neppure una data certa: fra il 10 e il 20 ottobre. Ma offre una chance, al tribunale: un’amica, Giada che vive al Sud, e che quella sera era tornata per un tour sui Navigli. Chiedere a lei, magari ha migliore memoria.

marinella.rossi@ilgiorno.net

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