Venerdì 26 Aprile 2024

Claudio Cecchetto: "Il treno della mia vita l’ho trovato a Milano. E l’ho afferrato al volo"

Claudio Cecchetto, un’esistenza a ritmo di musica di Massimiliano Chiavarone

Claudio Cecchetto (Newpress)

Claudio Cecchetto (Newpress)

Milano, 23 novembre 2014 -  «Milano mi ha insegnato che il treno passa per tutti e che bisogna avere la valigia pronta per saltarci su senza perdere tempo». Lo racconta Claudio Cecchetto.

E se non passa? Ricontrollo la valigia per verificare se ho dimenticato qualcosa.

Non fa una piega. Eccoci di fronte a chi ha inventato la professione di DJ, Disk jokey, in Italia, tanto poi da averci anche ricavato due radio. Sempre stato così industrioso? Sì, nella vita mi sono sempre cercato qualcosa da fare. E quando raggiungo il top voglio cambiare. Però mi considero sempre un ragazzo di Ceggia.

Cioè parla del piccolo centro in provincia di Venezia. Ma non è milanese? Di adozione. Sono arrivato qui che avevo 3 anni con i miei genitori e mia sorella Daniela. Mio padre Gino faceva il camionista. I miei decisero di lasciare Ceggia e trasferirsi a Milano per migliorare le finanze. Loro, però, continuavano a parlare in veneto. Cadenza che avevo anche io da piccolo, ma che poi ho perso.

Amici di infanzia? Nessuno. Non potevo averne perché cambiavamo spesso indirizzo, in media ogni due anni. La nostra prima casa era di una sola stanza in Piazza Napoli, poi siamo stati in via Merzario a Lambrate, in via Cialdini alla Bovisa, ad Inganni e infine in via Lanino, dalle parti di via Washington, dove i miei riuscirono a compare casa.

La zona della città che preferisce? Inganni. Esattamente via dei Giaggioli 11. Lì ci ho vissuto quasi tutta l’adolescenza e forse gli anni più sereni della mia vita. E’ una via periferica, presente anche nei fatti di cronaca nera. Quando ero piccolo la strada era piena di bulletti. Ma quello è anche il periodo della mia vita da cui cominciano i miei ricordi di Milano. Mio padre aveva comprato prima la radio e poi la tv. Io andavo a scuola, dopo le medie mi iscrissi all’Istituto Feltrinelli per studiare da perito termotecnico. Avevo imparato ad arrangiarmi da solo perché i miei erano fuori tutto il giorno per lavorare. A pranzo me la cavavo preparandomi il riso al latte, il mio piatto preferito. Non sono mai stato un mangione. Al pomeriggio andavo all'oratorio.

La soluzione per evitare le brutte compagnie? In realtà mi ha salvato il pensiero di trovarmi sempre qualcosa da fare. Servivo al bar, partecipavo agli incontri, facevo il cantore. Mi ero creato una rete protettiva. Ma stavo anche in strada a giocare alla lippa con un bastone che era il manico della scopa di casa.

E la musica? Ho cominciato da bambino suonando la batteria sui fustini del Dixan. Poi alle medie ho messo su una band con gli amici. Ricordo che passavamo il tempo a cambiare il nome al gruppo. In via dei Giaggioli avevo trovato anche la fidanzatina. Si chiamava Daria e abitavamo sullo stesso piano. In fondo avevo capito che se non cerchi guai, loro non vengono a cercarti. Me la sono giocata bene. Questa via è stata il Gioca Jouer della mia vita.

Come il titolo della sua autobiografia “In Diretta. Il GiocaJouer della mia vita” che ha pubblicato per Baldini&Castoldi. Ma come è diventato DJ? Mi piaceva la musica e volevo guadagnare. In fondo il DJ è lo sfigato che alle feste metteva i dischi mentre gli altri ballavano. Decisi di sfruttare la mia competenza musicale. Comiciai nelle discoteche. Era il 1975. Prima al Lucciola di via Padova, poi al Pink Elephant di via Sarpi, al Pantea di via Carducci e al Divina di via Molino delle Armi. È in quest’ultimo posto che creai lo stile dei deejay.

Che vuol dire? Era una discoteca molto frequentata dai gay. Su indicazione dei proprietari mettevo sempre pezzi rock e ritmati e avevo bandito i lenti per evitare che si baciassero. E poi la musica era sempre ad altissimo volume, mentre ovunque era tenuta più bassa.

E poi il resto è storia: Discoring, tre conduzioni di Sanremo, la scoperta di tanti talenti da Fiorello a Jovanotti, l’acquisto e il lancio di due radio da Milano. Questa città le ha dato molto? Tutto, anche se all’apparenza partivo con molte zavorre. Qui in un modo o nell’altro ce la fai. E pensare che a scuola andavo bene in matematica, mentre sono riuscito grazie alla mia parlantina. A Milano ho scoperto che la mia vita è come quella di Forrest Gump, non è mai scontata e scopri che puoi fare tutto quello che vuoi se ci credi.

di Massimiliano Chiavarone [email protected]