Capotreno aggredito con machete, la voce dei colleghi: «Noi, carne da macello»

La stazione Garibaldi si ferma, i ferrovieri si sentono un sol corpo: «Soli e indifesi, avremmo potuto essere noi lì. Quando chiediamo di vedere il biglietto ci sputano e ci insultano» Reazioni tra paura e sgomento di Giambattista Anastasio e Giulia Bonezzi FOTO - Sangue in stazione a Villapizzone/ Rilievi della polizia scientifica/ Commozione dei colleghi Trenord

La Scientifica opera i rilievi sul luogo dell'aggressione a Carlo Di Napoli, nel riquadro

La Scientifica opera i rilievi sul luogo dell'aggressione a Carlo Di Napoli, nel riquadro

Milano, 13 giugno 2015 - Si sentono calpestati nella dignità: «Scappiamo con la coda tra le gambe davanti a chi ci sputa in faccia e minaccia di tagliarci la gola se rompiamo i coglioni coi biglietti». Si sentono soli: «Su questi treni siamo abbandonati da Dio e dagli uomini». Si sentono, però, un sol uomo: «Poco è mancato che ci scappasse il morto. E al posto di Carlo e Riccardo avremmo potuto esserci noi». Dalle 12 alle 12.15 di ieri, la stazione Garibaldi è piombata in un silenzio surreale: tutti fermi i capitreno e i macchinisti di Trenord, in onore ai due colleghi aggrediti a colpi di machete da un gruppo di giovani latinos. Un silenzio rotto solo dai lunghi applausi e dalle trombe dei treni, all’indirizzo «dei nostri ragazzi, che il buon cuore di Dio non ha voluto diventassero martiri». Sono almeno una trentina, stretti e compatti nelle divise. Sopra le mani che applaudono gli occhi sono spesso lucidi di pianto. Gente che guadagna 1700 euro al mese e che rischia la vita chiedendo biglietti che spesso costano meno di 2 euro. Secondo Trenord nei primi 5 mesi del 2015 sono state 44 le aggressioni al personale, 18 anche fisiche. Ma il dato è sottostimato, si contano solo quelle refertate. Dicono i ferrovieri che Carlo Di Napoli, il capotreno al quale i medici dell’ospedale Niguarda hanno riattaccato il braccio, aveva segnalato tante volte questi problemi. L’ha fatto anche ieri, alle autorità che sono andate a trovarlo, ma non prima di aver espresso il desiderio di «riabbracciare mia figlia di soli 5 mesi». «State vicino ai miei colleghi, metteteci in condizioni di lavorare, la sera è sempre più difficile». Soprattutto sui treni che attraversano le periferie dure di Milano: Pioltello, Quarto Oggiaro, Villapizzone. Carlo «ogni volta ha un episodio da raccontare», dice Paola, sua sorella. Il tossico trovato in bagno con la siringa. Il folle che si denuda e non vuol rimettere la maglia. La zingara che lo aggredisce afferrandogli i testicoli, «quella volta finì in pronto soccorso». Non c'era la Polfer né la guardia giurata, giovedì sera sul passante. Le uniche divise erano quelle di Carlo e Riccardo. Sono solo 63 gli uomini della sicurezza Trenord, a fronte di 2300 corse giornaliere. Ed è stato infruttuoso un vertice tra azienda e sindacati, che ieri hanno quindi chiesto ai lavoratori di astenersi dal controllare i biglietti dalle 19 in poi su tutte le linee finché non arriveranno rinforzi. Indetto anche uno sciopero nazionale di 8 ore per martedì 16 giugno. Troppo? Ogni capotreno ha un’umiliazione da raccontare. «Negli ultimi tre anni mi hanno sputato in faccia, preso a calci e pugni – racconta Luigi Liberatore, 62 anni, in servizio da 30 –. Un passeggero mi ha rubato il cellulare aziendale mentre compilavo il verbale. Prima mi ha colpito, dopo mi ha deriso. Le Ferrovie non si sono manco costituite parte civile». Ettore, classe 1983 come Carlo, entrato in Trenord «nove anni fa insieme a lui»: «Sui treni c’è un senso di impunità che non si può più accettare». Giacomo, altro capotreno, giovanissimo: «Carne da macello, questo siamo».

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