Venerdì 3 Maggio 2024

Cantone e l’offensiva anti corrotti: "Ora l’Expo è il modello da copiare"

Il commissario: la ricetta vincente? Controlli veloci e repressione. Nessun interesse per il Colle: "Mi fa piacere la stima, però non ci credo, non sarebbe una cosa per me" di Giancarlo Mazzuca

Raffaele Cantone

Raffaele Cantone

Milano, 18 gennaio 2015 - All'inizio, confessa, non ci credeva neanche lui. «Non avrei mai pensato, al momento del mio insediamento, che Expo 2015, allora al centro di inchieste giudiziarie, potesse diventare un modello positivo. Addirittura da esportare». Il decreto del presidente del Consiglio Matteo Renzi che affidava il controllo sugli appalti dell’Esposizione universale a Raffaele Cantone è del 24 giugno scorso. E a distanza di poco più di sei mesi, il presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione (Anac), già magistrato in prima linea nella lotta alla camorra e al clan dei Casalesi, può stilare un bilancio positivo del lavoro svolto su Milano. «Expo è esempio virtuoso», sottolinea. Anche se non va confuso con l’offensiva, ancora tutta da sferrare, contro la corruzione in Italia. «Una lotta che non si fa con provvedimenti tampone, pure efficaci sul breve termine, ma con una strategia di lunga durata, che passa da una seria attività di prevenzione e da un cambio culturale di tutto il Paese».

Presidente, restiamo sull’Expo di Milano. Sembra che il risultato del lavoro suo e dell’Anac possa dirsi positivo. Si ritiene soddisfatto?

«Sì, moderatamente soddisfatto. Il sistema dei controlli sugli appalti si è molto velocizzato. Con la società Expo, pur nel rispetto dei ruoli, si è creata un’intesa sulle modalità con cui procedere. Il fatto che l’Anac riesca a effettuare un controllo in due giorni, pur avendo sette giorni a disposizione, rende più facile il lavoro dell’Expo. Il fatto che anche l’Ocse stia valutando di adottare lo stesso metodo in Messico, per la realizzazione del nuovo aeroporto della capitale, significa che questo modo di procedere è giusto».

Il segreto?

«Correggere le anomalie in progress. È anche una scelta di responsabilità. Grande rigore nei controlli, ma rigore intelligente. Un metodo che sta creando anche un effetto psicologico. Chi era tentato dal malaffare scappa. E ci sono persino cittadini che ci scrivono».

Però sulla corruzione si aprono sempre nuovi fronti...

«Infatti fare professione di ottimismo significa non essere realisti. Il vero tema è che questo Paese deve ancora decidere come avviare una vera lotta alla corruzione. Le soluzioni semplici, di fronte a un problema così complesso, non possono andare bene».

La ricetta vincente?

«Si basa su tre elementi: una repressione che funzioni, una prevenzione seria, una svolta culturale da parte dell’intero Paese. Ma è una strada che dà risultati in due-tre anni, perché si tratta di mettere a regime un sistema. L’incidenza delle cose eccezionali, come la strategia adottata per l’Expo, può fare da tampone ma non è sufficiente a cambiare il trend».

I suoi alleati?

«I cittadini».

E i politici?

«Tutti aspettano che la politica vari la legge giusta o la riforma. Ma non è così che si risolve il problema. Sono i comportamenti collettivi che devono cambiare. Recentemente, dopo gli arresti per Mafia Capitale, una nostra dipendente è andata a comprare un maglione. La commessa del negozio tuonava contro i politici corrotti, però non ha battuto lo scontrino. “Ma scusi”, le ha detto l’acquirente, “dopo tutta questa filippica non mi fa lo scontrino?”. E l’altra, stupita: “Perché? Cosa c’entra?”».

La lezione di Mani Pulite è stata inutile?

«Quando la stagione di Tangentopoli si è chiusa, nel 1996-’97, si è ripreso a fare affari con la finanza facile. L’opinione pubblica è rimasta a guardare o ha valutato in modo sbagliato quanto stava succedendo. Oggi c’è un meccanismo che rende più difficile far finta di nulla: il fatto che ci venga chiesto conto della situazione. Anche in un contesto internazionale».

Crede che i poteri dell’Anac vadano potenziati?

«I poteri che chiedevo li ho avuti: qualche altra cosa va aggiunta o migliorata come del resto il presidente Renzi ha detto qualche giorno fa. Quando sono arrivato l’Anac aveva 24 dipendenti, tutti non in organico; oggi sono 315, abbiamo aumentato le competenze e avuto la possibilità di svoltare, grazie al potere di commissariamento».

Perché la vicenda dell’Albero della vita, opera simbolo del Padiglione Italia, si è protratta così a lungo?

«L’approccio era sbagliato, in una logica troppo da privati. Abbiamo dovuto mettere delle regole. Ha richiesto tempo, è vero. Ma se non l’avessimo fatto qualcuno avrebbe impugnato l’opera in seguito».

Il terrorismo è una minaccia reale per l’Expo?

«Questo è un problema che spetta ai Servizi affrontare. L’Italia è sempre stata fuori da certi pericoli, perché crocevia di interessi e logiche di utilità. Ma certo Expo non può non tenere conto di quanto accade intorno a noi».

Lei ha evidenziato l’importanza delle interdittive antimafia per impedire le infiltrazioni nei cantieri. Milano è ostaggio della criminalità organizzata?

«L’attuale prefetto ha firmato 66 interdittive antimafia. Milano è la stessa città in cui un altro prefetto diceva che la mafia qui non esiste. Si è fatto finta di non vedere. Ma oggi c’è un meccanismo di prevenzione che funziona. Il segnale di un sistema che dimostra di essere sano. Tra la luna e il dito, però, si continua a vedere il dito. Il tessuto è infiltrato, è vero, ma sta reagendo. Bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno».

L’Expo cosa può rappresentare per l’Italia?

«Una grande occasione. Se avessimo rinunciato, sull’onda delle inchieste giudiziarie, avremmo dato il segno di un’Italia senza speranze. L’Expo ha un valore simbolico, perché dimostra che il Paese ce la può fare».

A Roma si gioca la partita per il Quirinale. Il Movimento 5 Stelle ha messo il suo nome fra quello dei candidati. Che effetto le fa?

«Positivo, perché è un’attestazione di stima. Detto questo, il Quirinale non mi interessa. Non ci credo, perché non credo sia una cosa per me. Sarebbe una cosa piovuta dall’alto...».

Quindi, se dovesse pioverle addosso?

«Non gioco mai alle lotterie, ma dovessi trovare un biglietto vincente per terra non è che lo butterei...».

di Giancarlo Mazzuca