Mappa del genoma e cure mirate: la battaglia anticancro dello Ieo

Le strategie illustrate dal professor Orecchia, successore di Veronesi di Giulia Bonezzi

Il professor Roberto Orecchia

Il professor Roberto Orecchia

Milano, 4 febbraio 2015 - Cure sempre più personalizzate, anche attraverso la mappatura del dna; che tendano al «danno zero» per permettere non solo di guarire, ma di vivere col cancro. E per tutti, dunque sostenibili, con una proposta che va dritta al calderone della riforma della sanità lombarda. È il piano clinico-scientifico di sviluppo dell’Ieo, Istituto europeo di oncologia, illustrato ieri da Roberto Orecchia che dal primo gennaio ne è il direttore scientifico. Successore designato dallo stesso Umberto Veronesi, che è rimasto come direttore scientifico emerito, assolutamente operativo: anche lui ha lavorato al piano che indirizza la ricerca dell’Ieo da qui al 2017, «con proiezioni a cinque e dieci anni».

Tre obiettivi, professor Orecchia. Primo, le «cure a danno zero». «Continuiamo a seguire il filo del professor Veronesi, adeguandolo a tempi non facili. Già oggi il 70% dei pazienti dell’Istituto riceve cure mininvasive: radioterapia mirata, radiologia interventistica, chirurgia robotica (930 interventi sui 13.510 eseguiti all’Ieo nel 2014, di cui 500 su malati di cancro alla prostata, pari al 10% di quelli fatti in tutta Italia, ndr), laparoscopica e one day surgery».

Chirurgia in giornata, 4500 interventi l’anno scorso. La radioterapia che dura la metà per il 95% delle pazienti di tumore al seno, solo 5 giorni per farla a metà dei malati di cancro alla prostata... «Continueremo a investire in tecnologie e know-how: riteniamo di poter trattare a “danno zero” tutti i nostri pazienti».

E di fare a tutti, gratis, il profilo genomico? «A coloro che lo vorranno, naturalmente. Abbiamo investito un milione di euro, intanto, per offrire ai pazienti che prendiamo in cura, accanto agli esami di routine, anche il sequenziamento del dna con una piattaforma ampia, di 200-250 geni».

A cosa serve? «Intanto a individuare il farmaco più adatto al profilo individuale, allargando il numero di pazienti sottoposti a trattamenti biologici alternativi alla chemioterapia standard: sono un quarto del totale oggi, il nostro obiettivo è arrivare alla metà. Il test può essere utilizzato sin da ora anche per scoprire i profili più suscettibili, e così personalizzare anche la chemio scegliendo la cura meno tossica per ciascuno. Avremo migliaia e migliaia di dati, da incrociare per ottenere elementi predittivi in grado di indirizzare la terapia primaria».

E poi c’è la «medicina del valore»: passiamo dalla ricerca scientifica alle politiche sanitarie... «La ricerca di qualità deve essere sostenibile. Questo è un modello americano, nato a Harvard; lavoreremo per adattarlo al nostro sistema col Cergas della Bocconi, diretto dal professor Elio Borgonovi».

Si tratta, in sostanza, di cambiare il modo in cui si misurano le cure: dalla prestazione remunerata a Drg al risultato sulla salute. «Allungando l’orizzonte temporale ad almeno un anno, e andando a calcolare il costo di una procedura in termini di qualità della vita: quante giornate di lavoro perse, se ci sono state complicanze, deficit funzionali, recidive... E il loro corrispondente costo socioeconomico».

Un’alternativa al vendor rating che la Lega proponeva nella riforma della sanità? «Può essere un buon modello da proporre alla Regione, come nuovo indicatore di analisi dei costi».

giulia.bonezzi@ilgiorno.net

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