Bimbo lasciato in chiesa, il prete: un lamento, poi la corsa dai medici

Don Mauro, il cappellano dell'ospedale San Giuseppe nel periodo estivo, ha trovato un neonato nella cappella del nosocomio di Giambattista Anastasio

L'ospedale San Giuseppe a Milano (Newpress)

L'ospedale San Giuseppe a Milano (Newpress)

Milano, 27 luglio 2014 - «Nella disperazione del gesto, c’è stata l’attenzione di lasciarlo in un posto dove potesse essere trovato». Così don Mauro, 35 anni, cappellano dell’ospedale San Giuseppe per il periodo estivo, conclude il racconto dell’attimo in cui la sua vita si è imbattuta in quella, iniziata da soli 7 giorni, di Giacomo. Così è stato ribattezzato il piccolo ritrovato venerdì notte proprio dal don nella piccola cappella del nosocomio.  Don Mauro, ci racconta come è andata? «Venerdì, intorno alle 18, ho spento le luci della cappella, come d’abitudine. Allora non ho avvertito alcuna presenza. E non ho avvertito nulla neppure tre ore dopo quando, intorno alle 21, sono di nuovo passato accanto alla cappelle per uscire dall’ospedale e fare una passeggiata in quartiere». Poi però... «Sono tornato al San Giuseppe intorno alle 23.40. Di solito mi ritiro in camera per l’ultima preghiera della giornata, la preghiera della sera, la compieta. Venerdì, non so perché, ho invece deciso di proferirla proprio nella cappella». Ma non ha fatto in tempo a terminarla. «Mi sono messo sulle panche più vicine all’ingresso della chiesetta e da lì ho avvertito un lamento, non ancora un pianto. In un primo momento ho pensato che si trattasse di un gatto: dalla posizione in cui ero non riuscivo a vedere chi, o cosa, ci fosse sul gradino accanto all’altare, da dove provenisse quel sospiro. Mi sono quindi diretto verso la statua della Madonna Nera e a quel punto ho visto che sul gradino dell’altare c’era un neonato. C’era Giacomo. Evidentemente chi lo ha lasciato lì, lo ha fatto dalle 21 in avanti. Non credo prima». In che condizioni lo ha trovato? «Era poggiato sul gradino avvolto da una federa bianca e aveva una maglietta dello stesso colore. Capelli nerissimi e tratti asiatici». Il cordone ombelicale era reciso solo in parte ma in avanzato stato di cicatrizzazione. Non è ancora possibile stabilire se il parto sia avvenuto in casa o in un ospedale. Qual è stata, a quel punto, la sua prima reazione? «Difficile spiegarlo, una sensazione forte. Non sono riuscito ad avvicinarmi, non l’ho nemmeno sfiorato. Ha prevalso la fretta di fare qualcosa per aiutarlo e così sono subito corso al pronto soccorso per allertare i medici. Poi abbiamo chiamato la polizia, come da prassi. Ho 35 anni e faccio il prete solo da tre, vero. Ma non mi era mai capitato nulla di simile». Perché avete scelto di chiamarlo Giacomo? «Perché venerdì era il giorno di San Giacomo. E perché San Giacomo è il Santo del cammino di Santiago: quel nome vuole essere un augurio, l’augurio che per il piccolo inizi ora un nuovo e felice cammino».  La nota diramata dall’ospedale è rassicurante: si dice che Giacomo sta bene, è in salute, che è nato da sette giorni e pesa intorno ai 2 chili. «Nella disperazione del gesto, c’è stata l’attenzione di lasciarlo in un posto dove potesse essere trovato e accudito». Accadeva spesso in passato che i bimbi fossero lasciati nelle chiese, proprio perché qualcuno potesse farsene carico. «Sì, è vero. Ma ripeto: a me non era ancora capitato. E pensare che sono appena arrivato: il cappellano dell’ospedale San Giuseppe è in vacanza e io resterò qui solo due settimane, giusto il tempo di sostituirlo».

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