Busto Arsizio, 10 febbraio 2016 - Una testimonianza sofferta, coraggiosa. Commovente. Importante. È il libro “Le mie due vite - e una tempesta” scritto da Franca Garavaglia (Nomos Edizioni). Il nome dell’autrice suonerà familiare a molti, dal momento che Franca ha creato l’Associazione Bianca Garavaglia, nata a Busto Arsizio il 13 aprile 1987. Per ricordare la figlioletta morta di tumore a cinque anni il 12 agosto 1986. E per raccogliere fondi a favore della ricerca oncologica pediatrica, dell’acquisto di strumenti e il potenziamento dell’assistenza ai piccoli malati e alle loro famiglie. Difficile per questa donna forte e profondamente religiosa questo viaggio a ritroso nel periodo più penoso della sua esistenza, attraverso un’esperienza che rappresenta l’incubo segreto di ogni genitore: le sofferenze e la morte di un figlio ancora bambino. Una prova cui Franca ha voluto sottoporsi con due precisi intenti: il primo, più immediato, è far conoscere la sua associazione e quindi potenziarla con nuovi soci e donazioni oltre che con tutti i proventi del libro. Il secondo riguarda la possibilità di raggiungere il maggior numero di persone che si trovano o si sono trovate in una situazione simile. «Vorrei che la mia testimonianza - scrive Garavaglia a conclusione del libro - fosse utile a tutti coloro che soffrono, vorrei dire loro che con l’Amore si può continuare a vivere. Io l’ho fatto, e lo rifarei sempre». Ma forse si tratta di una lettura utile anche per i tanti che non hanno sperimentato un simile trauma, perché confrontandosi con quei drammi riescano a ridimensionare preoccupazioni e difficoltà inevitabili. E riscoprano il valore dei legami familiari.
“La prima vita” di Franca è «semplice - ero chiusa nel mio piccolo mondo, non facevo del male a nessuno ma non facevo nulla per meritarmelo. La seconda, il ’dopo Bianca’, più faticosa, più operosa e, nonostante tutto, serena», con le due figlie più grandi e un’altra, Roberta, nata poco dopo la morte della sorellina. In mezzo, la tempesta: la diagnosi di sarcoma di Ewing alla quinta vertebra dorsale. Sei lunghi mesi di simbiosi con la piccola ricoverata all’Istituto dei Tumori di Milano. La speranza e lo sconforto, la disperazione di veder soffrire e morire una parte di sé. La necessità di sostenere il resto della famiglia. La solidarietà e il legame che si creano con gli altri piccoli pazienti, i loro familiari. I medici e gli infermieri che si prodigano con tutto il cuore in una battaglia impari. Il bisogno di sostegno psicologico per non crollare sotto il peso di tanta angoscia e responsabilità. «Durante i lunghi mesi del ricovero di Bianca, mi ero accorta che là mancava una ricerca specifica per l’oncologia pediatrica. A questo si aggiungeva la mancanza di un sostegno psicologico per i bambini e le loro famiglie, perché quando un bambino si ammala, nel dolore è coinvolta tutta la famiglia». E tutta la famiglia Garavaglia è stata ed è coinvolta nell’associazione che tanto bene ha fatto in questi quasi trent’anni, durante i quali anche la ricerca ha fatto importanti progressi: «Ora il 75% dei bambini può guarire». Ma ancora non basta. Non può bastare, finché anche un solo bambino perderà la battaglia per la vita.
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