Battaglia sull’Armani Hotel, vince la proprietà di Dubai: non deve nulla al Comune

Contenzioso chiuso, addio a oneri per 816mila euro di Nicola Palma

Armani Hotel di Milano

Armani Hotel di Milano

Milano, 1 settembre 2015 - Il Comune li inseguiva da più di quattro anni. Ora ci dovrà rinunciare definitivamente. Sì, perché qualche giorno fa il Consiglio di Stato, ribaltando la precedente sentenza del Tar, ha dato ragione ai proprietari dell’Armani Hotel: niente surplus di oneri di urbanizzazione, le casse di Palazzo Marino dovranno fare a meno di quegli 816mila euro. Si chiude così il contenzioso tra amministrazione ed Emaar Hotels & Resorts srl, il colosso arabo con sede legale negli Emirati che nel 2004 stipulò un accordo con Re Giorgio per la realizzazione di alberghi extralusso in tutto il mondo. Uno di questi – il secondo in ordine di tempo dopo quello incastonato al trentasettesimo piano del grattacielo Burj Khalifa di Dubai – fu tirato su al civico 31 di via Manzoni, a due passi dalla Scala, e inaugurato nel novembre del 2011 con tanto di red carpet e parata di star hollywoodiane: 95 tra camere e suite arredate personalmente dallo stilista, ristorante, lounge bar e spa da mille metri quadrati; tra i clienti abituali, anche il tycoon indonesiano Erick Thohir, presidente dell’Inter. Un restyling a cinque stelle oggetto di una convenzione ad hoc datata 2008 per «disciplinare sotto gli aspetti planovolumetrici» l’intervento edilizio «consistente nella trasformazione di un edificio esistente e nella sua conversione d’uso in albergo».

L'Armani Hotel di Milano

L’intesa prevedeva il versamento al Comune di 1.419.088,80 euro «a titolo di monetizzazione di aree a standard»: fuori dal burocratese, si tratta dei soldi che i privati devono dare all’ente pubblico nel caso non abbiano aree da cedere a compensazione dell’opera in cantiere (sviluppata su 2.974 metri quadrati). Denaro regolarmente bonificato dalla Emaar. Tutto finito? Non proprio. Sì, perché il 30 giugno 2011, la Giunta Pisapia appena entrata in carico decise di far valere la clausola di salvaguardia (articolo 7.4) inserita per eventuali future rivalutazioni dell’introito stabilito «nel caso in cui quello previsto si fosse rivelato inferiore ai valori soglia» fissati dalla legge regionale 12 del 2005. Risultato: la cifra salì a 2.235.077,35 euro, vale a dire 815.988,55 euro in più rispetto alla somma inizialmente pattuita. La società di sviluppo immobiliare impugnò subito il provvedimento al Tribunale amministrativo della Lombardia.

Nel maggio 2014, il verdetto favorevole a Palazzo Marino: «Le previsioni di cui all’articolo 7.4 hanno carattere precettivo», tagliarono corto i giudici di via Corridoni. Tradotto: diktat da rispettare senza se e senza ma. Allora la Emaar si rivolse al Consiglio di Stato, che ora ha accolto nel merito le doglianze degli arabi. Il motivo? Semplice: per il collegio presieduto da Goffredo Zaccardi, la disposizione tirata in ballo da piazza Scala – e ritenuta vincolante dal Tar – «si limita a prevedere la facoltà del Comune di rideterminare l’onere e a fronte semplicemente quella dell’operatore di valutarla». Come dire: non c’è nessun obbligo, non è previsto «alcun dovere di corrispondere successivi adeguamenti della somma pattuita». Per farla breve: addio 816mila euro.

nicola.palma@ilgiorno.net

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro