Ragazzo sfregiato con l'acido: amanti diabolici divisi al processo, si cercano in cella. "Fateci incontrare"

l dolore del padre di Martina in una telefonata al papà di Pietro. Boettcher: "Non l'avrei mai messa incinta se l'avessi pensata capace di sfregiare con l'acido" di Marinella Rossi

Alexander Boettcher e Martina Levato in tribunale con la polizia penitenziaria

Alexander Boettcher e Martina Levato in tribunale con la polizia penitenziaria

Milano, 24 gennaio 2015 - Si divideranno al processo, si cercano in carcere. E’ tutto un gioco. Non ci fosse Pietro Barbini, un ragazzo crudelmente sfregiato al Niguarda e una prospettiva lunga di galera per loro, i diabolici. Lei si accolla la colpa, lui scarica la colpa su di lei, che deve esser rimasta un po’ disturbata, dice, da una violenza sessuale subita. Tutto in perfetto e oliato accordo: lei l’Ifigenia pronta a immolarsi, che ha già un’A incisa sul volto in ossequio a lui, Alexander; lui il macho che mai l’avrebbe messa incinta (da due mesi) se avesse saputo che poteva buttar acido in faccia alla gente.

Ma poi, Martina Levato e Alexander Boettcher, sezione femminile e maschile di San Vittore, continuano a distanza il loro dialogo da amanti: con lettere, e chiedendo caldamente un colloquio personale, che forse il pm Marcello Musso non concederà. Delle conseguenze, processuali, dell’amore, Martina se ne infischia. La ragazza, che in qualche riga la Procura ha definito «manipolatrice», accetterebbe da quello che ha eletto a suo uomo il castigo finale: lei colpevole, lui che la scampa. Una manipolatrice sui generis. Poi dietro c’è il lavorio instancabile e professionale di avvocati che si dannano per limitare il danno. Paola Bonelli e Marziano Pontin, per Martina, ieri hanno chiesto alla nona penale del presidente Anna Introini il rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica e all’esame di tabulati telefonici, sms e chat di Whatsapp della ragazza. Martedì 27 il giudice della nona, presso cui processo per lesioni volontarie gravissime aggravate da crudeltà, premeditazione e motivi abietti, si è incardinato per direttissima, deciderà sulla richiesta: giustificata questa, oltre a ottenere un terzo di sconto sulla pena grazie al rito ed eventuali sconti se la perizia psichiatrica valutasse deficit rilevanti, anche dalla scelta di un processo a porte chiuse. Mentre il difensore di Pietro Barbini e della sua famiglia, l’avvocato Paolo Tosoni, ribadisce la sua costituzione di parte civile contro i diabolici, in qualsiasi forma di processo siano giudicati. Martina punta al patibolo, Boettcher no, se può, si sfila. Il suo ultimo difensore Ermanno Gorpia potrebbe optare per il rito ordinario, una difesa che scagioni dalle responsabilità il 30enne, il quale, pur placcato da Pietro e dal padre dopo il bagno di acido in via Carcano il 28 dicembre, dice che era là col martello per andare a fare lavoretti in una casa di proprietà.

E poi ci sono gli altri, gli adulti rimasti fuori dalla comprensione di un gioco al rilancio degli amanti totali. I genitori. l loro dolore si condensa nell’imbarazzo di una breve telefonata. Le scuse, e le scuse non sono mai abbastanza. Il dolore per Pietro Barbini, da parte dei genitori di Martina Levato. E scuse persino per conto di Martina, ché è lei ad aver cancellato la faccia di Pietro con l’acido muriatico. Gherardo Barbini riceve la chiamata di Vincenzo Levato. Pochi intensi minuti. Non si sentivano, quei genitori, dai tempi dei loro ragazzi al Parini. Si risentono ora, nella desolazione inspiegabile di un figlio bruciato e in ospedale, di una figlia irriconoscibile e in galera. 

marinella.rossi@ilgiorno.net