Confermati i sei anni per terrorismo. Ma che fine ha fatto Abu Omar?

Tornato in auge con i Fratelli musulmani, eclissato sotto i generali di Marinella Rossi

Abu Omar

Abu Omar

Milano, 4 marzo 2015 - Che faccia il panettiere o il macellaio, che rilasci dichiarazioni spudorate via internet sulla strage parigina al Charlie Ebdo, in realtà di Abu Omar, icona delle extraordinary rendition della Cia come lotta sbrigativa al terrorismo islamico, l’autorità giudiziaria milanese ha perso le tracce, e già da un bel po’. Desaparecido, sia pure non formalmente e senza carte bollate che lo attestino. E forse non a caso, visto che dopo gli anni ruggenti, per lui, dell’affermazione al Cairo dei Fratelli Musulmani, la rigida virata anti fondamentalista in corso in Egitto dal 2013 - e divenuta guerra dichiarata all’Isis - non ha giovato alla sua visibilità. Non dato per irreperibile, visto che l’Egitto si è sempre rifiutato di rispondere a domande dell’autorità italiana su dove e cosa facesse l’imam radicale, ex via Quaranta, si può più concretamente dire che né la Procura generale né i giudici d’appello davanti ai quali è appena virtualmente comparso (in contumacia) per associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, sanno che fine abbia fatto.

Alessandria D’Egitto, Il Cairo? Libero e attivo, o in semiclandestinità o peggio? Dov’è Abu Omar, la cui esistenza è testimoniata solo dalle rare mail scambiate col legale italiano, Carmelo Scambia, che possono essere inviate da ovunque? L’ultima, 19 febbraio, invita l’avvocato «a difendermi, come giusto che sia, ricorda che io non sono un terrorista...». Ma Hassam Mustafa Osama Nasr, detto Abu Omar, ieri è stato condannato per terrorismo in un processo lampo: un paio d’ore fra relazione, richieste di conferma della condanna di primo grado da parte del pg Piero De Petris, arringa difensiva dell’avvocato Scambia, verdetto del giudice della Corte d’assise d’appello Anna Conforti. Sei anni di reclusione, gli stessi che il gup Stefania Donadeo gli inflisse in rito abbreviato il 6 dicembre 2013.

Con un ritardo di dieci anni, non dovuto alle lentezze della giustizia, ma al sequestro avvenuto in via Guerzoni, mentre l’imam stava andando da casa verso la moschea di via Quaranta, il 17 febbraio 2003: rapimento - storicamente e processualmente accertato - di un commando Cia, in cui il servizio segreto americano ebbe - storicamente accertato ma processualmente invalidato dall’apposizione del Segreto di Stato - il supporto logistico di dirigenti del Sismi, per i quali i tormentati processi si sono conclusi con l’intervento della Corte Costituzionale che, contravvenendo la precedente decisione della Cassazione, ha recepito l’estensione del segreto apposto dai governi - sia di centrodestra che di centrosinistra - su tutta la vicenda, e con la conseguenza dell’annullamento delle condanne a dieci e otto anni per l’ex comandante del Sismi Niccolò Pollari e del suo braccio destro Marco Mancini.

Le responsabilità di Abu Omar sono più semplici e facilmente riscontrabili. Oggetto di indagini della Digos e della Procura, interrotte dalla rendition che lo consegnò alle torture di un anno nella prigione egiziana di Al Torah (per lui i giudici stabilirono un risarcimento di un milione di euro tutto in carico agli 007 Cia, verso i quali nessun governo ha chiesto mai agli Usa l’estradizione), il suo ruolo è disegnato dalle motivazioni del giudice di primo grado. Tra il 2001 e il 2003 nelle moschee di viale Jenner e di via Quaranta Abu Omar fu come “guida spirituale”, «uno dei principali punti di riferimento in Lombardia di Ansar Al Islam», struttura di Al Qaeda, con l’istruzione e il reclutamento dei mujaheddin da «avviare nei campi di guerra», e pronti a sacrificarsi nella «battaglia» di «tutti i musulmani contro tutti i non musulmani». La jihad, diceva l’imam, comporta il dovere di «uccidere persone». «Le sue lezioni sono delle bombe nucleari», secondo un egiziano intercettato nel 2000. E nell’aprile 2002, sull’attentato alle Torri Gemelle, Abu Omar: «E’ tutto nella fede... Anche l’attentato era stato scritto, anche il nome della via. Che cosa incredibile. E’ Dio». E affiggeva - scriveva il gup - la pagina del Corano che avrebbe legittimato l’attacco alle Twin Towers.

marinella.rossi@ilgiorno.net

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