"Fatima plagiata da fanatici. Quella non è la religione"

Inzago, i fedeli della comunità "Associazione Stella" di Barbara Calderola

Abdellah Zafer presidente dell’associazione con Mohamed Halibi

Abdellah Zafer presidente dell’associazione con Mohamed Halibi

Inzago (Milano), 17 gennaio 2015 - Arrivano alla spicciolata. In tuta blu da lavoro, con giacconi buttati sulle spalle, una cinquantina di “tugnèla” che parlano italiano e arabo. Salgono di corsa le scale, varcano il portoncino verde della «moschea». È venerdì, il giorno sacro dell’Islam. Operai e padroncini di Inzago e dintorni, fedeli di Maometto, saltano il pranzo e vengono a pregare. Entrano di corsa, si tolgono le scarpe, si accovacciano verso la Mecca. Come prescrive il Corano. Sulla porta, una scritta gialla: «Associazione Stella». La comunità islamica del piccolo centro alle porte di Milano dove abitava Fatima, la ventisettenne convertita all’Islam e, secondo il ministro Alfano, partita per combattere la jihad, prende le distanze dal caso. Qui, tutti vivono in pace. Tre anni fa hanno preso in affitto questo monolocale sopra al Carrefour, pagano affitto e riscaldamento con una colletta e non vogliono sentire parlare di guerra e terroristi. «Fatima non è l’Islam. Quella non è la nostra religione», chiariscono subito Mustapha Joud e Abdellah Zafer. Sono tra i fondatori del sodalizio, che oltre ad offrire un luogo di preghiera, organizza corsi di arabo per i figli di seconda e terza generazione, nati qui «e ormai lontani dalla nostra lingua. A scuola imparano l’italiano, noi vorremmo che non perdessero le loro radici culturali». E offrono pure corsi per gli «italiani che vogliono imparare l’arabo».

Prima di prendersi il loro spazio, i fedeli della zona pregavano nella moschea di Pioltello. «Abbiamo preferito ritagliarci un luogo tutto per noi - spiega Mohamed Halibi -. Ho 24 anni, sono nato in Italia. E qui stiamo benissimo». Almeno finché la vicenda di Fatima non ha interrotto la routine fatta di lavoro, famiglia e fede. «Abitava dietro casa mia - racconta Joud -, si era convertita tanti anni fa dietro pressione del marito. Ma non ha mai frequentato la nostra associazione, le donne qui non vengono, per scelta loro. Fatima faceva tutto su internet». Secondo Abdellah, Maria Giulia Sergio, così si chiamava la presunta combattente prima di cambiare fede e indossare il niqab, il velo integrale, «sarebbe caduta nella rete del fanatismo».

«Plagiata - spiegano all’associazione - da esaltati. Che certo non sono qui. Ma sul web. Credete davvero che oggi non ci sarebbero manifestazioni sotto le nostre finestre, se avessimo creato qualche problema?». Per strada c’è solo un gran viavai di clienti del supermercato. Donne indaffarate che corrono a fare acquisti per il week-end. «Dopo il clamore degli ultimi giorni, se fossimo solo “sospettati” di qualcosa, ci sarebbero cortei e cartelli all’ingresso. Sanno tutti che il venerdì preghiamo. Oggi è la prova del nove». «Bisogna darsi un limite - aggiungono i fedeli - Fatima, se è vero quel che dicono di lei, forse non ha saputo imporselo. La conversione è una cosa bella, lei è andata ben oltre. Ha varcato un confine che il Profeta vieta di varcare. E dunque il suo, non è Islam. Il Corano dice che se uccidi una persona, uccidi il mondo intero. E se la salvi, salvi il mondo intero. Questa è la nostra fede».

barbara.calderola@ilgiorno.net