Trezzo, una targa ricorda Stefano Pari sulla passeggiata anti cemento

Il fuochista pagato per non lavorare è rimasto nei cuori della gente

Stefano è diventato l’icona dell’ambiente nei luoghi che amava

Stefano è diventato l’icona dell’ambiente nei luoghi che amava

Trezzo sull'Adda (MIlano), 23 ottobre 2016 - Il ricordo di Stefano Pari è più vivo che mai a Trezzo. Il fuochista pagato per non lavorare dalla municipalizzata Ates, dopo tre cause perse, era morto l’anno scorso e per sempre sarà legato ai luoghi che più amava: i sentieri che abbracciano la città e le sue oasi verdi. Una targa commemorativa ha intitolato la passeggiata che apre ogni anno la Festa in Cascina, appuntamento anti cemento sul fiume, all’operaio scomparso a 45 anni, prima che potesse sferrare l’attacco finale (in aula) all’amministrazione che di lui non ne voleva sapere.

Una causa per mobbing, ultima tappa della lunga battaglia giudiziaria che l’ha visto uscire sempre vincente dalle aule del tribunale. Vicenda dolorosa, della quale si è discusso anche in Consiglio. Sulla quale l’opposizione ha una sentenza inappellabile: «Stefano è stato vittima di killeraggio politico – dice Carlo Sironi (Tutti per Trezzo) – la sua morte è sulla coscienza degli amministratori che l’hanno perseguitato pur conoscendo i fatti. Ai loro occhi aveva una colpa: aver lavorato con noi».

Il sindaco Danilo Villa scuote la testa, sconsolato: «Mescolare la memoria di un uomo che non c’è più alle polemiche di tutti i giorni? Non fa per me. Lascio ad altri questo genere di operazioni». Il caso si è chiuso con un accordo economico dopo tre débâcle giudiziare per Atos poi Ates: le pronunce sono sempre state a favore del lavoratore. Ad agosto 2014 Pari, forte dell’ultima sentenza a suo favore, si presentò al lavoro coi carabinieri, ma la municipalizzata lo lasciò fuori dalla porta. Pagato per non lavorare, perché lo stipendio, Ates glielo ha sempre versato. I guai, per lui, dipendente comunale dal 1985, erano cominciati cinque anni fa.

Quando Atos, nel mirino per buchi di bilancio, aveva assorbito il personale comunale del settore tecnico. Nel 2011 l’azienda e le amministrazioni di riferimento, Trezzo capofila, decidono il risanamento. A Pari tocca il trasloco a nuovo incarico in un’altra società. Lo rifiuta, e nel 2013 il tribunale gli dà per la prima volta ragione: obbligo di reintegro. Atos, nel frattempo diventata Ates, invece lo licenzia, facendo appello alla legge Fornero. Secondo ricorso. E, nel gennaio 2014, seconda vittoria. Il giudice lo reintegra: «Risulta palese la volontà di Ates di disfarsi del lavoratore, persona peraltro non facile caratterialmente. In ciò si esprime quindi l’atto ritorsivo». Contro il secondo pronunciamento Ates presenta ancora ricorso. E il 27 maggio 2014 un terzo giudice lo rigetta, disponendone il reintegro. Ma Stefano non è mai rientrato.