Omicidio di Cernusco, sommozzatori nella cava alla ricerca dell'arma

Quello che, a primissime ipotesi, era sembrato un delitto maturato in uno scenario passionale, potrebbe anche rivelarsi altro. Gabriella Fabbiano aveva un ampio giro di frequentazioni, italiane come straniere

Sommozzatori al lavoro

Sommozzatori al lavoro

Cernusco sul Naviglio (Milano), 12 dicembre 2016 - I sommozzatori dragano la cava Merlini, si cerca la pistola che ha ucciso Gabriella Fabbiano. Era primissima mattina quando, ieri, i sommozzatori dei carabinieri e i vigili del fuoco hanno iniziato le ispezioni subacquee nel lago dove, lo scorso lunedì, è stato ritrovato il cadavere della 43enne di Cernusco sul Naviglio, assassinata e poi gettata in acqua avvolta in un telo di cellophane. L

’ipotesi più probabile è che si cerchi l’arma del delitto, la pistola da cui è partito il proiettile che ha ucciso la donna. Sino ad oggi non è mai stata trovata. Non si esclude dunque che l’assassino (o gli assassini) possa essersi liberato dell’arma nell’istante stesso in cui si disfava del corpo della donna. MA mentre il cadavere, pure zavorrato con due pesanti blocchi di cemento, è rimasto arenato su un tratto di acqua bassa, tanto da riaffiorare poco tempo dopo (qualche ora, un giorno o due: è un altro aspetto ancora nebuloso) l’arma, qualora fosse nel lago, potrebbe essere stata gettata al largo. Il che rende le ricerche lunghe, difficoltose e dall’esito incerto. Indagine e lavoro non si fermano neppure nei giorni festivi.

Gli inquirenti e le forze dell’ordine sono impegnati a pieno regime nella soluzione del giallo dell’omicidio della 43enne, uccisa da un proiettile dietro l’orecchio, legata a polsi e caviglie, avvolta in un telo e abbandonata in una cava. Nessuna notizia in merito all’esito delle decine di interrogatori che si sono svolti a Milano e, almeno ad oggi, nessun altro nome sul registro degli indagati se non quello del pioltellese Mario Marcone, il netturbino 42enne indicato come l’ultimo compagno della donna ammazzata. Marcone resta a piede libero, va avanti e indietro dal suo appartamento sulla Padana superiore a Pioltello e non fa che ripetere le stesse, poche parole: «Non l’ho uccisa, non ho niente a che fare con questa storia».

Quello che, a primissime ipotesi, era sembrato un delitto maturato in uno scenario passionale, potrebbe anche rivelarsi, con i giorni, altro. Gabriella Fabbiano aveva un ampio giro di frequentazioni, italiane come straniere. Viveva di lavori saltuari e aveva occasionalmente bisogno di prestiti di denaro. Circostanza ammessa dallo stesso Marcone in favore di telecamera: «Quando me l’ha chiesto, mi è capitato di aiutarla». Alcuni dettagli del delitto, i polsi legati, i blocchi di cemento, il solo proiettile sparato alla testa, potrebbero far pensare anche a una sorta di esecuzione. Ma tutto, davvero tutto, è ancora avvolto nella nebbia. Nelle prossime ore dovrebbero essere eseguiti gli esami tossicologici successivi all’autopsia. Potrebbero dare qualche ulteriore risposta sulle circostanze della morte. Si è infatti ipotizzato che la donna sia stata narcotizzata prima dello sparo. Un aspetto che spiegherebbe fra l’altro l’assenza sul suo corpo di segni di violenza o colluttazione. monica.autunno@ilgiorno.net