Omicidio Cernusco, uccisa dall’amante e buttata nella cava: parola ai periti

In aula il femminicidio di Gabriella Fabbiano

I sommozzatori alla cava

I sommozzatori alla cava

Cernusco sul Naviglio, 13 settembre 2017 - Torna in aula il femminicidio di Gabriella Fabbiano. La venditrice porta a porta di Cernusco, ripescata a dicembre nel laghetto della cava Merlini, chiusa in un cellophane, come spazzatura, con blocchi di cemento ai polsi e alle caviglie. Un delitto orrendo, per il quale ha confessato Mario Marcone, l’amante-spazzino di Pioltello: «L’ho uccisa per gelosia al culmine di una lite», aveva raccontato ai magistrati. Ieri, per lui e il suo complice, l’amico Fabrizio Antonazzo che l’aveva aiutato a sbarazzarsi del corpo, l’udienza in rito abbreviato.

I loro difensori hanno chiesto una perizia psichiatrica per ciascuno, ma il pm Francesco Cajani si è opposto: «Erano lucidi. Sapevano perfettamente quel che stavano facendo». Il giudice scioglierà la riserva il 21 settembre, giorno in cui le parti saranno di nuovo faccia a faccia in tribunale. Si tratta di calibrare le responsabilità per la fine terribile inflitta alla mamma 43enne dall’inquieta vita sentimentale. A inchiodare il coetaneo, con cui la donna intratteneva una burrascosa relazione, erano state due macchie di sangue, una nell’auto del netturbino, l’altra nel suo appartamento.

La sera del delitto, il 30 novembre scorso, i due cenano a casa. Lei è in pigiama. Dei messaggini sul cellulare scatenano il diverbio – questa la ricostruzione degli inquirenti – sfociato in tragedia. Marcone impugna una pistola che si era procurato illegalmente e cancella Gabriella. Il cadavere verrà ritrovato il 5 dicembre. È stato lo stesso omicida a rivelare il particolare più macabro: si sarebbe tenuto in casa la fidanzata ormai morta quattro giorni e quattro notti. Passati a studiare il modo per liberarsene, senza dover pagare il conto con la giustizia. Alla fine, ha chiesto aiuto al collega sessantenne. I due, insieme, avrebbero messo a punto il piano e concepito il terribile rito che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto renderli insospettabili. Hanno aspettato il buio della domenica referendaria per fare scalo alla vecchia cava e scaricare il pesante fardello. Marcone avrebbe gettato lì anche l’arma, che non è mai stata trovata. Per lui, l’accusa è di omicidio volontario, porto illegale d’arma da fuoco e soppressione di cadavere. L’Antonazzo sarebbe intervenuto solo nella fase finale. E di questo deve rispondere. A dare la svolta al caso, i riscontri del Ris sull’automobile dell’amante-assassino. Nel passato dello spazzino, un grave precedente: due anni in carcere per aver tentato di investire l’ex moglie con l’auto. A svelare il ruolo del complice è stato l’intuito dei carabinieri di Cassano. Da subito avevano acceso un faro sul rapporto fra vittima e carnefice. Un legame difficile, fatto di interruzioni e ritorni di fiamma.