Cassina de' Pecchi, 23 febbraio 2011 - Una storia di musica, di amicizia, che va avanti da oltre vent’anni. Prima suonavano insieme, poi «Paolo Bovi è uscito dal gruppo», ricalcando il primo romanzo di Enrico Brizzi, uscito nel 1994.
Il gruppo, per inciso, è quello dei Modà, nato e cresciuto dalla mente di Kekko - Francesco Silvestre, cantante e leader della band -, con la collaborazione proprio dell’amico cassinese, ai tempi tastierista.

Paolo, a quando risale l’amicizia che ti lega a Kekko?
«Bisogna volare indietro di parecchi anni. Io ne avevo 17 e lui 13 quando ci conoscemmo. Io suonavo in un gruppo e lui era un nostro fan, pensate un po’!».

Come è iniziato il vostro cammino?
«Abbiamo seguito direzioni diverse per un po’. Poi, tra il 2000 e il 2001 ci siamo rincontrati in oratorio. Me lo ricordo bene, era una serata di beneficenza per padre Spinelli. Lui era lì con la sua band, io invece ero in rotta con la mia...».

È stato lì che è «scoccata la scintilla»?
«No, è stato in quel momento che ho scoperto che Kekko avesse imparato a cantare! - scherza, scoppiando a ridere -. Una piacevolissima scoperta tra l’altro».

Cosa vi accomunava?
«Eravamo entrambi innamorati della musica, entrambi cantavamo in italiano e tutti e due preferivamo gli inediti alle cover».

E quindi...
«E quindi mi invitò a casa e mi fece sentire tre canzoni che aveva scritto, al pianoforte».

Che impressione ti fecero?
«Una volta mi dissero che “per fare musica bisogna avere la melodia nel sangue”. Non avevo mai compreso cosa volesse dire. Finché non ho ascoltato lui. Ha il dono di comunicare qualcosa di vero, quasi tangibile, mentre canta. Rimasi folgorato e mi propose di suonare insieme».

E così formaste i Modà
«In realtà, Kekko veniva dal suo gruppo chiamato Pop Doc. Il nome lo cambiammo in Modà più tardi, in onore di una discoteca di Erba. La frequentava Kekko, e il proprietario gli disse che, a lui, quel nome aveva sempre portato fortuna. Così lo adottammo pure noi!».

Il primo disco?
«Già nel 2001 registrammo le prime due canzoni: “Datemi un’autostrada” e “Jackomo e Daniele”, un parodia in onore del Jack Daniel’s. Poi, nel 2003, autoproducemmo il primo Ep, “Via d’uscita”».

Come mai questo titolo?
«Era il nome della mia vecchia band. Credo fosse un omaggio di Kekko nei miei confronti. Ci piaceva l’idea di costruire il futuro mantenendo un minimo di storia».

Il primo concerto?
«Ah, me lo ricordo bene! Eravamo all’oratorio di Cassina, lo stesso anno. Venne giù il diluvio universale, e un freddo... Eppure riuscimmo a radunare circa 500 persone tra amici e conoscenti. Fu una figata! Ops, si poteva dire?».

Poi che accadde?
«Quella stessa estate ci dividemmo. Eravamo rimasti solo io, Kekko e Tino - Matteo Alberti, cernuschese, alla chitarra acustica -. Tramite Kekko conoscemmo Alberto Cutolo, uno dei proprietari del Massive Art Studios. Investì molto su di noi e attraverso dei provini entrarono in famiglia Diego Arrigoni - attuale chitarrista - e Stefano Barcella - ancora oggi al basso -».

La serata della svolta?
«Ci esibimmo all’Indian Saloon di Bresso. Eravamo esaltatissimi perché avremmo dovuto introdurre il gruppo di Stef Burns, chitarrista di un certo Vasco Rossi».

Come andò?
«Suonammo divinamente. Per coincidenza c’era anche un produttore artistico della Rai. Il bello è che si era si era innamorato di una canzone che Kekko aveva scritto soltanto la sera prima. Si chiamava “Ti amo veramente” ed era la prima volta che la suonavamo...».

Un canzone che vi ha portato molta fortuna
«Verissimo. Nel 2004 uscì l’album omonimo, con cui iniziammo a farci conoscere a livello nazionale».

Poi ci fu Sanremo...
«Volevamo presentarci con “Mia”. Ma purtroppo la canzone era già girata tra amici e conoscenti, così il Festival ci diede tre giorni per presentare qualcosa di inedito. Kekko riuscì a comporre un bel pezzo: “Riesci a innamorarmi”, ma purtroppo non avemmo fortuna, anche perché eravamo in rotta con la casa discografica di allora, che non ci fornì il supporto sperato».

Quindi l’eliminazione. Poi?
«Stipulammo un nuovo contratto, con la Ultrasuoni - attuale casa discografica del gruppo, ndr -. Io però mi tirai indietro».

Come mai?
«Era stata un bellissima avventura. Ma il lavoro, le spese di produzione, i viaggi... mi obbligarono a fare una scelta».

Eppure sei ancora parte del gruppo
«Sono il loro fonico. Che è anche il mio lavoro al di fuori dei Modà. Non ci siamo mai separati del tutto. Abbiamo un rapporto troppo profondo».