Addio a quei fiocchi rosa e azzurri, lo storico reparto maternità di Cernusco ha chiuso i battenti

La maternità dell’Uboldo ha chiuso. Lo storico reparto aperto 50 anni fa è deserto. Le culle sono vuote di Barbara Calderola

Il gruppo delle infermiere  e delle ostetriche davanti alle culle ormai irreversibilmente vuote

Il gruppo delle infermiere e delle ostetriche davanti alle culle ormai irreversibilmente vuote

Cernusco sul Naviglio, 2 marzo 2015 - La maternità dell’Uboldo ha chiuso. Lo storico reparto aperto 50 anni fa è deserto. Le culle sono vuote. Il lungo corridoio dove in una domenica mattina di sole – destinata a rimanere impressa nel cuore di migliaia di cernuschesi, 1 marzo, data della serrata voluta dalla Regione - la luce colora tutto d’avorio. Nessuno, però, corre da una stanza all’altra. Nel nido, con i suoi mobili arancio e blu, regna il silenzio. In guardiola, le infermiere sono al loro posto, come statuine di un presepe.

Aspettano mamme col pancione, che non arriveranno più. Sulla porta del reparto un cartello avvisa che da ieri chi ha bisogno dell’ostetricia deve rivolgersi al piano terra. Sabato sera, alle 20.15, dalle stanze del quarto piano è uscito l’ultimo bambino: Tony. Una foto di gruppo con i genitori fissa per sempre l’amaro addio. Il piccolo è arrivato il 23, dopo di lui, il 25, sono venuti alla luce altri tre bebè fra queste mura. Gli ultimi nati a Cernusco. Da oggi in poi, il pianto che regala la vita riecheggerà solo al Santa Maria delle Stelle, dove infermieri, medici, ostetriche, ausiliarie e assistenti socio-sanitarie saranno trasferiti in pianta stabile. Un dolore per tutti, è inutile negarlo. Sabato sera hanno consumato un loro privatissimo addio al reparto dove quasi tutti hanno passato una vita. «Trent’anni. Ho lavorato qui trent’anni», ripete come un mantra Anna Ferrari, storica ostetrica dell’Uboldo.

Il cartello in corsia che ufficializza la fine delle attività a partire da ieri nel punto nascite di Cernusco

Ha il cuore spezzato. «Non si contano le mamme che in questi giorni ci hanno detto che vogliono che i loro figli nascano qui». «Ma ormai è una chimera», le fa eco la ginecologa Patrizia Mattei. «I nostri letti sono vuoti» aggiunge Marisa Meroni, infermiera dall’aria sperduta. Sono quindici e fino a qualche giorno fa erano sempre pieni. Servivano a migliaia di donne che all’Uboldo hanno vissuto il momento più felice della vita. A tre cifre un tempo, scese, ma mai sotto l’asticella che il ministero indica come limite per la sopravvivenza: 500. A Cernusco di piccoli ne sono nati 552 l’anno scorso. A Melzo, e per questo il trasloco brucia, 407. «Se razionalizzazione doveva essere, doveva essere a nostro favore, no?», chiedono le operatrici. Le famiglie cernuschesi hanno fatto propria la loro tesi. Negli ultimi cinque mesi si sono mobilitate come mai prima per scongiurare la serrata.

Ma la politica, impermeabile alle vite che qui si sono sfiorate, incrociate, intrecciate, ha tirato dritto. Nonostante il reparto fosse stato ristrutturato di recente. Le stanzette sono tutte dipinte di rosa. Cascate di fiori accoglievano le mamme nel grande giorno. Mentre dalle pareti del nido Bambi vigilava sui batuffoli appena nati. «Non rimarrà più niente di tutto questo», dice sconfortata l’ausiliaria Elisabetta Della Torre. La storia di tutti, operatori e pazienti, riparte da Melzo. Dove la macchina organizzativa scattata dopo la chiusura, si è scordata di mettere a disposizione delle deluse di Cernusco almeno un armadietto nello spogliatoio.