Cassano, il ponte vietato ai Tir e scatta la maxi rivolta: «Forzeremo il blocco»

Alta tensione dopo il giro di vite

Giampietro Robbiati

Giampietro Robbiati

Cassano d'Adda (Milano), 2 agosto 2015 - «Forzeremo il blocco. Garantito». Giampietro Robbiati, storico capopopolo dei camionisti rivieraschi, è pronto alla battaglia. Il vecchio leader torna sulle barricate dopo le proteste del 2001 e del 2008, stavolta contro la chiusura del ponte di Cassano disposta dal sindaco Roberto Maviglia passato alle maniere forti per ottenere la tangenzialina, un cantiere infinito aperto cinque anni fa dopo 15 di promesse. «Più che un’opera una fabbrica del Duomo, di cui non si vede la conclusione», commenta il primo cittadino. Ieri, come annunciato da giorni, è scattato l’off-limts del viadotto che drena il traffico fra il Milanese e la Bergamasca.

Zona da pil a sei zeri anche in tempo di crisi, con affari che rischiano di saltare come birilli al bowling. Un punto cruciale per la circolazione delle merci: il taglio del ponte coinvolge i camion da tre tonnellate in su. A Cassano sono ore cariche di tensione. Gli autotrasportatori sono pronti a sferrare l’attacco. «In gioco c’è il futuro». «Ci sono tre viadotti inservibili in una manciata di chilometri (Cassano vecchio, nuovo e Paderno), poi più nulla per altri 40, a parte Rivolta. Noi abbiamo rischiato il fallimento, le ditte hanno chiuso una dopo l’altra, ora ci si mette anche la politica. È troppo. Non ci stiamo». Cosa succederà lunedì? «Passiamo sul ponte di Cassano, come sempre. Non ci sono alternative: per evitarlo dovremmo allungare di più di 20 chilometri imboccando la Brebemi, con quel che costa. Non se ne parla nemmeno. Devono capire che così ci danneggiano irrimediabilmente».

«L’anno scorso – racconta Robbiati – ho dovuto chiedere un prestito in banca per pagare il gasolio e continuare a lavorare. Ho perso 2 milioni e 270mila euro con tutti i clienti finiti in concordato preventivo. Dopo quest’inferno ci manca anche di tornare a discutere di come attraversare l’Adda. Avevamo chiesto al sindaco di far scattare il divieto a settembre e invece ha chiuso adesso». Il tempo non ha scalfito la tenacia del portavoce. Dietro a lui in tanti. La memoria torna ai vecchi blocchi messi in campo «per forzare la mano al Pirellone che non si decideva mai a regolare il traffico fra Madonnina e Orobie». Il solito nodo vitale. Oggi, più che mai, appeso a un filo. «L’opera costa 30 milioni, migliorerebbe la vita della gente e delle imprese e non la finiscono. Domani andremo nella Bergamasca dal solito viadotto. Ci fermino se hanno il coraggio». Nessuno vuole tornare ai tempi dei «giri assurdi nei centri abitati, su e giù per il territorio», gli stessi per cui nel 2008 si chiedeva con forza la tangenziale della discordia. La stessa che otto anni dopo si è fermata all’ultimo miglio. «Allora c’era Formigoni. Ma gira e gira si torna sempre daccapo», dice amareggiato Robbiati. Non restò che sbarrare gli accessi ai viadotti mandando in tilt due province per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema. Come fa oggi Maviglia. «Ma paghiamo noi».