Da Pegognaga con amore: viaggio alla scoperta del Parmigiano Reggiano

La latteria Vo Grande di Pegognaga, nel Mantovano, da decenni si dedica alla produzione del Parmigiano. "Il nostro un prodotto di qualità, anche se lo sanno in pochi"

Tonino Taffurelli, dal 1993 casaro della latteria Vo Grande

Tonino Taffurelli, dal 1993 casaro della latteria Vo Grande

Pegognaga (Mantova), 12 ottobre 2015 - Nel derby del Parmigiano tra Lombardia ed Emilia Romagna è molto importante nascere a destra o a sinistra del Po. E' infatti consuetudine pensare che da queste parti si produca il Grana Padano e che il Parmigiano sia solo un prodotto di marca emiliana. Niente di più sbagliato. Infatti, anche se sono in pochi a saperlo, la Lombardia, e in particolare Mantova, vantano una lunga tradizione nella lavorazione e produzione del  Parmigiano.

Formaggio conosciutissimo a livello mondiale, ma spesso vittima di imitazioni di bassa lega che danneggiano l'economia e imbandiscono in modo ingannevole le tavole di consumatori inconsapevoli e distratti. Eppure, basta addentrarsi nelle campagne del Mantovano, lungo gli argini del Po, per scoprire caseifici sparsi un po' ovunque che interrompono le lunghe distese di campi di mais e grano. Uno di questi, la latteria Vo Grande di Pegognaga, a una mezzoretta di auto dalla città dei Gonzaga, è una delle aziende più apprezzate in zona. Lo certificano le vendite: 25mila forme di Parmigiano l'anno, che in soldoni fanno 9 milioni di euro. Una storia che viene da lontano, e che ultimamente si lascia raccontare con particolare piacere grazie alle frotte di turisti che vengono ad ammirarne le fasi di lavorazione. "La nostra latteria nasce nel 1925, sotto il fascismo - racconta Luigi Panarelli, presidente di CIA (Confederazione Italiana Agricoltura) e uno dei 14 soci dell'azienda - anche se solo a partire dagli anni '50 si è trasformata in una cooperativa vera e propria. Negli anni '80 c'è stata una ristrutturazione e nel 2002 è nata la latteria attuale". Le cose vanno a gonfie vele fino al 2012, annus horribilis da queste parti a causa del terremoto. "Ci siamo sentiti discriminati e dimenticati - continua Panarelli quasi volendosi togliere qualche sassolino dalla scarpa - perché si è sempre parlato di terremoto dell'Emilia, ma anche noi siamo stati colpiti dal cataclisma, senza contare una piccola parte del Veneto".

Oggi l'azienda ha 13 dipendenti e ogni fase della lavorazione è seguita con puntiglio, senza tralasciare il minimo particolare. Una catena di montaggio perfetta, che va dallo scarico del latte alla spillatura, fino all'estrazione delle forme e la marchiatura, dopo un apposito periodo di salatura. Un processo lungo e complicato, ma molto affascinante se osservato da vicino. E non ci si faccia ingannare dai tempi: se è vero che per produrre una forma di Parmigiano ci vogliono 38 minuti la fase più delicata è quella della stagionatura, che dura 24 mesi. "Il nostro è un prodotto di qualità perché non usiamo additivi ma solo prodotti naturali -  spiega Panarelli - e nutriamo il bestiame sul secco, con un'alimentazione sana, cioè con mangime e fieno".

Tonino Taffurelli è uno che di formaggi se ne intende. Dal 1993 è mastro casaro della latteria Vo Grande. Ogni giorno coordina l'attività dei suoi addetti come un direttore d'orchestra. Conosce a memoria ogni angolo del suo "regno del latte", ed è particolarmente orgoglioso del magazzino, all'interno del quale sono custodite le forme di Parmigiano invecchiate e destinate alla vendita. Una specie di immenso caveau ricolmo di oggetti preziosi nel quale ci si perde inebriati dal mix di odori che i formaggi emanano a seconda della stagionatura. Tonino ne sceglie uno già marchiato per spiegare il processo di "espertizzazione", che avviene dopo 12 mesi. E' il momento più importante perchè sancisce l'idoneità del prodotto sul mercato attraverso una scrupolosissima verifica della qualità. "Si batte la forma con uno speciale martello per capire se la pasta è compatta - sottolinea - e in caso di esito positivo il prodotto viene timbrato e poi marchiato". E' solo in quel momento che il formaggio viene battezzato ufficialmente, acquistando la denominazione di Parmigiano Reggiano.

Nell'angolo più intimo del magazzino sono conservati i pezzi ai quali Luigi e Tonino tengono di più. Sono quelli che portano ancora i segni del terremoto e che raccontano quella tragedia attraverso le "ferite" che marchiano la crosta. Di fronte ci sono altre forme non meno preziose: sono quelle di lunga stagionatura (generalmente 10 anni) che l'azienda ha deciso mettere all'asta per raccogliere fondi a favore dei ragazzi con handicap e senza lavoro. Una delle ultime è stata quella di Expo, grazie alla quale sono stati raccolti 4 mila euro. Un modo per far conoscere un prodotto di eccellenza e muovere l'economia locale, senza trascurare il sociale. "La nostra soddisfazione è stata quella di essere cresciuti negli anni, e sono lontani i tempi durante i quali il nostro era un formaggio di seconda scelta che alla Camera di Commercio costava mille lire in meno rispetto a quello di Reggio - ricorda Panarelli -. Tempo fa siamo stati invitati a una gara di formaggi a Guastalla. Abbiamo vinto e la giuria locale ci ha anche fatto i complimenti, ma poi quasi non ci ha voluto salutare. Evidentemente, perché lavoriamo bene".

All'uscita del magazzino è forte l'odore del piccolo macello una volta destinato all'allevamento dei suini. Si attendono altri camion con un carico di latte destinato a trasformarsi in Parmigiano. "Oggi è andata, aspettiamo domani - sorride Panarelli - è domenica, si sta in famiglia".