Emergenza lavoro, l'infinito "terremoto" dell'industria mantovana

Quella mantovana è la provincia lombarda che conta il numero più alto di disoccupati. E i marchi storici continuano a chiudere dall'inviato Luca Zorloni

Lavoro in industria (Ansa)

Lavoro in industria (Ansa)

Mantova, 19 luglio 2014 - L'ultimo picchetto è comparso davanti ai cancelli della Kosme. Roverbella, provincia di Mantova: nei giorni scorsi l’azienda, nel portafoglio della tedesca Krones, ha annunciato lo stop di alcune linee produttive di macchine per confezionare e imbottigliare e 139 licenziamenti su 377 dipendenti. Così il nome della Kosme è finito in cima a quell’amaro elenco di industrie del Mantovano che hanno chiuso i battenti, ridotto la produzione, tagliato posti di lavoro.  Nel 2013 la terra di Virgilio si era già guadagnata l’infelice titolo di provincia lombarda con il maggior tasso di disoccupazione, ma quest’anno è andata ancora peggio. «Nei primi sei mesi del 2014 abbiamo sfondato gli otto milioni di ore di cassa integrazione autorizzate — spiega Massimo Marchini, segretario generale della Cgil provinciale —, di gran lunga di più di tutto il 2013». E se le iscrizioni ai centri per l’impiego continueranno a galoppare come è successo fino a maggio, a dicembre l’ex capitale dei Gonzaga si ritroverà con 20mila disoccupati contro i 17mila dell’anno scorso. «Questo è l’annus horribilis dell’economia mantovana», commenta Francesca Zaltieri, vicepresidente della Provincia.

Più che del sisma del 2012, sul versante economico Mantova è stata vittima di un’alchimia velenosa di ristrutturazioni aziendali, multinazionali che fanno le valigie, fallimenti sull’onda della crisi globale, una politica nazionale disorientata (vedi alla voce energia, ricorda Zaltieri) e una locale «litigiosa e latitante», affonda Marchini. Risultato: una dopo l’altra, le industrie sono cadute come colpite da un cecchino. A partire dai marchi storici. Come la vecchia signora di Mantova, la cartiera Burgo, fondata nel 1902. Dai capannoni, ogni anno, «uscivano 150mila tonnellate di carta per quotidiani», ricorda Giovanni Mantovanelli, del sindacato dei lavoratori della comunicazione. «E tutta da scarti», precisa.

Poi la crisi dell’editoria ha messo in scacco il gruppo, con 11 impianti in Italia più uno in Belgio, e le forbici sono calate su Mantova. A febbraio del 2013 circa 200 lavoratori vanno in cassa integrazione e dopo dodici mesi per 169 «si è aperta la procedura di mobilità». I sindacati avevano consigliato di convertirsi alla carta per confezioni, ma ai piani alti nessuno li ha ascoltati. Ora l’azienda tratta per vendere i capannoni. «Vuole 20 milioni di euro», ricorda il sindacalista. Gliene ha offerti la metà la Progest di Treviso che — ironia della sorte — fa proprio cartoni per contenitori. E per agosto attende una risposta. «Ha interesse a riavviare gli impianti con personale in mobilità, che paga di meno», osserva Mantovanelli. Nello stesso periodo scade la cassa in deroga per i cento dipendenti dell’ex Tasselli, altro marchio storico dell’industria mantovana, classe 1964. Nei tempi d’oro, ricorda Carlo Montanarini, delegato rsu, nei capannoni di Suzzara si sfornavano fino «a 40-50 banchi frigo al giorno», destinati alle corsie dei supermercati. Allora erano oltre 170 gli impiegati del gruppo, ora sono rimasti sei addetti dell’ufficio tecnico. Nel 2009 la proprietà, la holding Isa, decide di fare le valigie e di accentrare tutta la produzione a Bastia Umbra, in provincia di Perugia. Il muro contro muro tra azienda e sindacati si traduce in «un fiume di ammortizzatori sociali», ricorda Montanarini, che ora sono gli sgoccioli. In una provincia dove, a forza di licenziare, non si trova più chi assuma. E i giovani restano al palo. «Siamo una delle ultime province italiane per opportunità di lavoro per i laureati — incalza Marchini — e abbiamo una disoccupazione giovanile al 34,2%». Prima del casello di Mantova nord, ci si imbatte in uno striscione dei lavoratori Burgo. Con una parola scritta a caratteri cubitali: lavoro. (1 - Continua)