Il sorriso vispo del cane del Neolitico: viveva a Mantova, e ci voleva bene

Fedele come sempre, era nutrito dai padroni nonostante fosse infermo

Una fase degli scavi nel sito archeologico

Una fase degli scavi nel sito archeologico

Mantova, 28 maggio 2017 - Tra pochi giorni si tornerà a scavare alla Tosina, località di campagna nel territorio di Monzambano, sulle colline che separano il Mantovano dal Garda. Parte la sesta campagna archeologica in un sito straordinario del neolitico, che riserva ogni anno nuove sorprese. Quella che tutti attendono è la scoperta (ma gli addetti ai lavori non ne parlano per scaramanzia) di una necropoli e dei laboratori dove gli abitanti, tra il quinto e il quarto millennio a.C., lavoravano. L'ultima scoperta, invece, è quella dello scheletro di un cane, affiorato tra le migliaia di reperti e di ossa raccolti nel terreno. Ha rivelato ai ricercatori molti segreti dei nostri antenati, per esempio che i cani venivano tenuti non solo per il lavoro (caccia e pastorizia) ma anche per affezione, proprio come oggi. Il primo ‘pet’ della storia, come si potrebbe definire il cane della Tosina, è stato anche disegnato, grazie al contributo del paleontologo Fabio Bona.

«Questo è un luogo straordinario per la ricerca per almeno tre ragioni - spiega Alberto Crosato, archeologo e presidente dell’associazione culturale Amici di Castellaro Lagusello, che per primo nel 2003 intuì la presenza di un villaggio neolitico –. La prima è l’estensione: 50mila metri quadri di cui solo 500 scavati; poi la sua forma ovale, visto che la collina era circondata da terreni paludosi e protetta da una palizzata; infine la lavorazione delle selci, che provenivano dai non lontani monti Lessini». Non a caso, i contadini di Monzambano che guardavano quello strano terreno, l’unico circolare tra tanti appezzamenti rettangolari, lo chiamavano il «campo delle freccette»: vi si trovavano da sempre piccoli e antichissimi manufatti. La scoperta, nel 2003, era stata subito segnalata alla Sovrintendenza lombarda ai beni archeologici e dal 2006 sono iniziati i primi sondaggi. Fino a questo momento sono stati portati alla luce circa 40mila oggetti tra selci e altre pietre, e 20mila ossa. Tra queste, appunto quelle del Fido dell’antichità. A destare lo stupore degli archeologi è stato il fatto che l’animale aveva subito una lesione abbastanza grave alla colonna vertebrale, forse procurata dal calcio di un animale o da una umanissima bastonata. Questo lo rendeva “inabile al lavoro”, ma i suoi padroni non lo avevano abbattuto. L’avevano tenuto con loro, considerandolo un animale d’affezione. Il suo ritrovamento ha portato i riflettori sul sito archeologico mantovano.

Oggi gli scavi, che costano 200mila euro a campagna, sono finanziati dalla Regione Lombardia, dalla Fondazione Comunità Mantovana e da Banca Agricola Mantovana, la banca del territorio da anni assorbita da Montepaschi. Grande assente è lo Stato, sottolinea polemicamente Crosato, che ha continuato a seguire le ricerche in collaborazione con altri archeologi, tra i quali il figlio Alberto e la nuora Raffaella Tremolada. A testimoniare l’importanza del sito è il fatto che agli scavi parteciperà quest’anno l’università di Firenze e Siena, con il museo e l’istituto fiorentino di Preistoria, una delle massime autorità accademiche d’Europa per neolitico e dintorni. Saranno loro a tirare fuori una tomba, o resti umani (per ora ancora assenti) o la capanna che custodiva gli attrezzi degli artigiani di seimila anni fa?