Guerra ai veleni del petrolchimico: a Mantova ora scatta la bonifica

Ruspe all’ex Montedison dopo decenni. Ma niente piani per il futuro di Tommaso Papa

CIMINIERE Una vista sul polo petrolchimico che sorge a Mantova su una sponda del MincioZorloni petrolchimico Mantova

CIMINIERE Una vista sul polo petrolchimico che sorge a Mantova su una sponda del MincioZorloni petrolchimico Mantova

Mantova, 30 marzo 2015 - Per molti anni ancora chi si affaccerà dalla reggia dei Gonzaga si troverà a osservare un groviglio di ciminiere arrugginite e di depositi di petrolio maleodoranti e corrosi dal tempo. Il polo chimico creato a Mantova nel dopoguerra a strappare uno dei merletti paesaggistici più delicati e suggestivi d’Italia è destinato a rimanere ancora a lungo un ingombrante cimelio industriale. La consolazione è che almeno fa passi avanti la bonifica di questa città dei miasmi, grande almeno come quella rinascimentale. Il 26 marzo la prima ruspa ha affrontato la «collina dei veleni», come è conosciuta una minuscola porzione del polo industriale, talmente inquinata da essere irrecuperabile. Il nome dice tutto, i dettagli danno le dimensioni del problema: in una fascia lunga 150 metri per 150, degradanti verso l’ansa del Mincio, per decenni la Montedison e le società che l’hanno sostituita hanno scaricato tonnellate di residui industriali: soprattutto mercurio, ma anche idrocarburi, benzene, fanghi residui delle lavorazioni.

La bonifica, come si diceva, è impossibile. Si può solo scavare, chiudere il materiale in fusti sigillati da spedire in una discarica all’estero, pare in Germania, dove verranno stivati a caro prezzo. Il costo dell’operazione per la sola collina dei veleni sarà di 65-70 milioni di euro. Per cancellarla del tutto ci vorranno dai nove ai dieci anni. L’area è solo una delle tante ad alto tasso di inquinamento che dovrebbero essere cancellate dalla sponda del lago inferiore. L’enorme fetta di territorio colonizzata da condotte, ciminiere e depositi di gas e idrocarburi e sostanze chimiche dal 2003 è un Sin (Sito di intesse nazionale), che classifica la pericolosità e mette Mantova al livello della Terra dei fuochi o dell’Ilva di Taranto. Alla classificazione dovevano seguire i fondi statali per la bonifica che sono arrivati col contagocce, mentre le autorità locali, la Provincia in prima linea ma anche il Comune, si sono trovate da sole ad affrontare una lotta titanica a colpi di carta bollata con colossi come la Montedison appunto, ma anche l’Eni, la Ies e le successive proprietà che si sono opposte come potevano alle costose (per loro) ordinanze di bonifica. Nel polo chimico, le inestricabili battaglie legali su chi e come dovesse ripulire la natura dal «surnatante», lo strato di fango che ha coperto una parte consistente del fondo del lago, sono ancora in corso.

Un esempio per tutti: sull’area Ies, quasi un quarto dell’intero polo chimico, il governo Monti ha previsto la sola messa in sicurezza: «Il problema è che il ministero ha avallato un progetto che non sta in piedi – spiega l’assessore all’Ambiente della Provincia di Mantova, Alberto Grandi, 47 anni, da pochi giorni dimissionario per tentare la corsa al Comune –. Vorrebbero imbrigliare i veleni con un muro infossato nel terreno. Quanto dovrebbe essere profondo non si sa. Si sa però che il primo progetto costa 16 milioni, mentre quello alternativo che avremmo in mente noi ne costa 2,5 e consisterebbe nell’aspirare l’inquinante, come sta accadendo nell’area della Belleli per l’inquinamento prodotto da Ies». Così, tra mille ostacoli e stop and go, sospetti di affari sporchi o di pura incapacità, la bonifica lentamente procede mentre è ancora un’utopia la trasformazione della zona in un’area d’eccellenza per la chimica verde e le bioraffinerie o nel polo tecnologico individuato dal Comune. Un sogno di carta, nell’anno del Signore 2015.