Lugano, 7 aprile 2014 - Non c'è pace per i sessantamila frontalieri lombardi che dopo il voto del 9 febbraio, quando la Svizzera di fatto ha deciso di fare a meno di loro reintroducendo i contingenti all’immigrazione, adesso temono il referendum del 18 maggio, in cui si chiederà all’intera Confederazione di votare pro o contro il salario minimo garantito. In caso di voto favorevole in busta paga non ci saranno più differenze tra frontalieri e svizzeri: salario minimo di 22 franchi l’ora (18 euro) indipendentemente dalla qualifica, pari a una remunerazione mensile di 4.000 franchi (3.272 euro) per una settimana lavorativa di 42 ore. Apparentemente il bengodi per chi è costretto all’alba a varcare il confine, alla volta di un Paese dove si guadagna il doppio rispetto all’Italia ma in cui la malattia e il posto fisso praticamente non esistono. Sempre che gli svizzeri non diventino più furbi dei loro vicini di casa e decidano di aprire delle filiali in Lombardia, dove far lavorare agli standard italiani, salvo poi destinare la produzione al mercato interno.

«Senza gli italiani il Canton Ticino si ferma — sostiene Sergio Aureli, responsabile dei frontalieri per il sindacato Unia e prossimo candidato alle Europee per il Pd — Oggi rappresentano un terzo della forza impiegata e non vengono scelti solo perché costano poco, bensì per la professionalità. Accanto a muratori e operai, ci sono anche medici, insegnanti, responsabili nelle banche d’affari. Per questo la battaglia per un equo stipendio è sacrosanta». Intanto l’incertezza oltreconfine è tanta e alla Precicast di Novazzano, colosso nella produzione di turbine a gas e motori di aerei con oltre 450 dipendenti la maggior parte dei quali frontalieri, hanno deciso di bloccare gli investimenti.

Almeno finché la Confederazione, superata la tempesta dei due referendum, non deciderà che linea tenere nella rinegoziazione degli accordi bilaterali con l’Unione Europea. Se infatti in Canton Ticino, dove la disoccupazione è al 5%, la Lega dei Ticinesi ha finora avuto buon gioco a indicare nei 60mila frontalieri lombardi la causa di tutti i mali, a Basilea, dove frontalieri sono i ricercatori e il personale specializzato che arriva da Francia e Germania, si sprecano gli appelli al buonsenso. «Da noi il frontalierato è un’opportunità e non un handicap — confida Christoph Brutschin, consigliere di Stato Socialista in un’intervista al Corriere del Ticino — perché Basilea ha il suo polo economico in Svizzera. In Ticino la locomotiva economica è situata in Lombardia. Il livello dei salari nel nostro cantone si basa su standard elvetici e questo significa che i frontalieri guadagnano praticamente come i cittadini svizzeri. Un principio che spinge le aziende a favorire la qualità e non il miglior prezzo». Quello che dovrebbero fare anche in Canton Ticino, senza lasciarsi tentare dai furbetti del Belpaese.

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