«A Cayo Largo siamo rinati anche senza internet e l’abbondanza dell’Italia»

Ospedaletto, gli ex gestori dell’Osteria del Cristo si sono trasferiti a Cuba quando il marito è stato chiamato per lavorare in un ristorante nel paradiso naturale di Paola Arensi

FELICI La famiglia Favarotta

FELICI La famiglia Favarotta

Ospedaletto Lodigiano, 27 aprile 2015 - Da Ospedaletto a Cayo Largo, Cuba, per rifarsi una vita. Questa è la storia di Sabrina Freschi di Ospedaletto, 43 anni, del marito palermitano Gaspare Favarotta, 41 anni e delle loro figlie Rachele e Rebecca di 9 e 6 anni. Fino al 2013 i coniugi lavoravano in Italia, nel paese di Sabrina, titolari di una tabaccheria, L’osteria del Cristo, con annessa ristorazione e servizio alberghiero. Poi però i conti non tornavano e la quotidianità, provata dalla crisi, aveva ucciso le emozioni. Fino al 2011 quando, durante un viaggio alle Mauritius, a Sabrina è venuta l’idea di cambiare vita.

Signora Freschi, come è maturata la decisione? «All’inizio degli anni Duemila, in coincidenza con i lavori di realizzazione dell’Alta velocità ferroviaria, avevamo iniziato a gestire il nostro ristorante. Erano tempi in cui avevamo un vortice di lavoro. Siamo andati avanti fino al 2013. Nel frattempo la scomparsa di mio padre mi aveva tolto ogni tipo di emozione. Nel 2011 decidemmo di fare un viaggio alle Mauritius e nel resort dopo pochi giorni mio marito si è ritrovato come avvertito da uno strano richiamo, era sempre in cucina con l’ Executive Chef a sperimentare i profumi della grande cucina Internazionale. Aveva la gioia negli occhi e visto l’appesantirsi della situazione in Italia, di nascosto, ho iniziato ad inviare alle più grandi catene alberghiere il suo curriculum. Così il 12 luglio 2013 mio marito è partito, solo, alla volta dell’Havana, per poi ritrovarsi assunto sull’isolotto Cayo Largo, definito il paradiso in terra, per l’assenza di insediamento umano, dove vivono solo iguane e tartarughe con pellicani e colibrì».

Quando lo avete raggiunto? «Il 4 settembre 2013 ho chiuso 12 anni della mia vita in cinque valigie, ho preso per mano le mie due bimbe e siamo decollate. Ad attenderci c’era una meravigliosa famiglia, tutto lo staff alberghiero, più di 200 persone che oggi si prendono cura di noi. Mio marito è Executive Chef per la catena e noi siamo orgogliose di essere la sua famiglia. Torniamo in Italia due volte l’anno nella nostra solita casa e dalla nostra famiglia».

Come siete organizzati con gli studi delle figlie? «Qui non esiste scuola, non esiste Internet.  Pertanto io sono l’educatrice della mie bimbe. Le bimbe rispettano un piano di istruzione parentale  che si chiama Home School, istruzione a casa e quando rientrano in Italia, a gennaio e maggio, frequentano la scuola con tutti i loro compagni sostenendo le prove previste. Così le insegnanti valutano il loro livello di preparazione».

Cosa cambierebbe dell’Italia? «In Italia manca troppo la voglia di fare, di confrontarsi col resto del mondo e si dovrebbe seguire di più il proprio desiderio di cambiare. Noi ad esempio ora, spogliati dei beni materiali, apprezziamo di più le persone per ciò che sono e anche le piccole cose. E se finiamo la colla ce la facciamo da soli con la farina. Le bimbe sanno che se usano più quantità di shampoo e bagnoschiuma finiscono in fretta, mettono attenzione nell’uso delle penne e nel temperare le matite, evitano di sbagliare per non consumare le gomme, non strappare i fogli e ottimizzare gli spazi». paola.arensi@ilgiorno.net