Il killer di Stefano Raimondi ricorre in Appello

Il ragazzo lodigiano di vent’anni fu ucciso a bottigliate in Grecia. Arrestato, l'assassino rimase in galera poche settimane perché il papà ha pagato la cauzione e preso un principe del foro di Fabrizio Lucidi

Stefano Raimondi, ucciso a Mykonos a 20 anni

Stefano Raimondi, ucciso a Mykonos a 20 anni

Ospedaletto Lodigiano, 12 settembre 2014 - L’assassino di Stefano Raimondi ha fatto ricorso contro la condanna in primo grado a dieci anni di reclusione. Alexander Georgiadis, 26 anni, ora è a piede libero e può tornare spesso dai genitori in Svizzera, mentre - secondo fonti qualificate - resta l’obbligo di firma in Grecia, Paese dove al momento sta lavorando come cameriere nel ristorante dello zio. L’accusa, a suo carico, è di lesioni mortali: nel luglio del 2011, sull’isola di Mykonos, in Grecia, colpì Stefano alla testa, con una bottiglia piena di vodka. Un’aggressione a freddo, stando alle testimonianze degli amici di Stefano e ai filmati di videosorveglianza della discoteca “Cavo Paradiso”, dove si vedrebbe Georgiadis che colpisce dalle spalle Stefano, arrivato a fare da paciere in una lite fra le rispettive compagnie.

Poi l’assassino tentò la fuga, ma la polizia dell’isola riuscì a bloccarlo prima, assieme a due amici turchi. Ma l’arresto è durato poco, meno di 90 giorni. Subito dopo, complice l’ingaggio di un avvocato potente, ex ministro greco e presidente della squadra di calcio Panatinaikos, Nikos Konstadopolous, l’assassino è stato liberato su cauzione di 30mila euro pagata in contanti, con il solo obbligo di firma in una caserma di Atene, mentre lavorava come cameriere nel ristorante di uno zio. Quindi, l’ennesima beffa: il cambio di imputazione deciso dal giudice - da omicidio volontario alla meno grave lesioni mortali - e la condanna in primo grado a dieci anni di carcere.

Ora Georgiadis, che gode del doppio passaporto (greco e svizzero) si muove fra i due Paesi con il solo obbligo di firmare in caserma ad Atene una volta ogni mese. E aspetta la fissazione del processo d’appello, che si terrà nel tribunale dell’isola greca di Silos. Perché continua a professarsi «dispiaciuto» ma «innocente», e vuole quanto meno lo sconto di pena. Mentre il papà di Stefano Raimondi, dopo la sentenza di primo grado, non aveva nascosto la sua rabbia: «Se questo è il modo in cui viene trattato un cittadino italiano quando ha bisogno di aiuto, allora mi vergogno di essere italiano. Dalla morte di Stefano sono stato lasciato solo, né il ministero degli Esteri né quello degli Interni si sono mai fatti sentire. Nessun aiuto è arrivato dall’ambasciata italiana in Grecia. Anzi, addirittura mi hanno chiesto i 300 euro per pagare l’interprete inviato dal Consolato per seguire il processo». Che non si concluderà con la condanna a dieci anni, perché l’assassino vuole essere libero. Senza mai aver chiesto davvero scusa ai genitori del povero Stefano. fabrizio.lucidi@ilgiorno.net