Fidanzati uccisi a Pordenone: troppe pressioni, Rosaria non apre bocca

L'ex fidanzata dell'imputato Ruotolo si è avvalsa della facoltà di non rispondere

Teresa Costanza e Trifone Ragone

Teresa Costanza e Trifone Ragone

Lodi, 28 febbraio 2017 - In aula avrebbe dovuto spiegare del profilo ‘Anonimo Anonimo’, di come era stato creato su Facebook, delle contraddizioni emerse nei primi interrogatori e di quel segreto che aveva cercato di custodire per fare un favore al suo ex fidanzato, e che alla fine le è costata l’accusa di favoreggiamento. E invece, Maria Rosaria Patrone, 25 anni, di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, che ieri è stata chiamata a testimoniare davanti alla Corte d’Assise di Udine al processo che vede imputato Giosuè Ruotolo, militare di 27 anni, accusato del duplice omicidio della lodigiana Teresa Costanza e del militare Trifone Ragone, la coppia uccisa il 17 marzo 2015 nel parcheggio del palasport di Pordenone, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Pochi istanti di udienza per la ragazza, laureata in Giurisprudenza, accompagnata dal suo avvocato di fiducia, Costantino Catapano, che dovrà difenderla nel processo che la vedrà imputata con l’accusa di favoreggiamento, dopo che la Procura di Pordenone ha rifiutato la richiesta di patteggiamento a otto mesi di reclusione.

«La scelta di non rispondere ci è sembrata la più corretta -  spiega il legale Catapano -. Troppa pressione sulla mia assistita. In questi mesi, Patrone non è stata trattata di certo bene dalla magistratura. La decisione del pm di respingere la nostra richiesta di patteggiamento ci ha spiazzato». L’udienza di ieri è continuata con l’audizione della teste Stella Secondulfo, mamma di Maria Rosaria. «Mia figlia mi disse che aveva saputo da Giosuè di uno scherzo fatto in caserma, non so da chi -  dice la donna . Lei aveva fatto un solo accesso al profilo Facebook da cui partivano i messaggi, e mi disse che Giosuè si era infastidito perché lo scherzo lo avevano fatto in caserma e correvano il rischio di peculato<WC>»<WC1>. La donna ha riferito che la figlia nel periodo 2014-2015 «viveva un forte stress emotivo, era un po’ depressa per gli studi e la lontananza» e ha confermato che dopo l’omicidio «è andata in cura da una psicologa perché si era aggiunta la preoccupazione per quanto successo. Aveva paura che potesse succedere anche a Giosuè».