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di MANUELA MARZIANI
— PAVIA —
PER ORA è solo un’ipotesi, ma basta per incutere timore. Perché l’ipotesi parla di una trasformazione dello stabilimento della Merk da polo produttivo a punto commerciale. Un’idea buttata lì, tra le righe di un documento inviato dalla proprietà al presidente della Regione, Roberto Formigoni, che sta preoccupando sindacati e forze politiche. Dai 270 lavoratori attuali, infatti, in un punto vendita all’ingrosso come quello in cui potrebbe essere trasformata l’azienda pavese, ne basterebbero una decina. E anche di questa prospettiva si è parlato l’altro giorno in un incontro che si è tenuto in Regione con l’assessore al Lavoro, Gianni Rossoni, il consigliere del Pd Giuseppe Villani e le rappresentanze sindacali degli stabilimenti di Lodi, Pavia e Segrate.

«L’IPOTESI di una trasformazione per l’azienda di via Emilia è ancora tutta da chiarire - ha sottolineato Villani - dovrà essere inserita in un piano industriale, ma è chiaro che la paura esiste. D’altra parte quando si dice di voler chiudere lo stabilimento di Lodi per trasferire all’estero la produzione, altre aziende hanno già chiuso e non si chiariscono gli obiettivi di una ristrutturazione aziendale, si teme che se non sarà tra un anno, tra due Pavia potrebbe chiudere».

DAI TIMORI alla realtà, però, c’è di mezzo una trattativa che porterà le organizzazioni sindacali a incontrare giovedì prossimo il ministero delle Attività produttive alla presenza della Regione, mentre lo stesso assessore Rossoni, prima del vertice romano parlerà con i rappresentanti della proprietà aziendale per capire qualcosa in più sul futuro del gruppo. “Intanto - ha proseguito il consigliere regionale Villani - durante la riunione dell’altro giorno, è sorto l’auspicio che i sindacati di Lodi, di Pavia e di Segrate facciano fronte comune insieme anche alle istituzioni regionali per ottenere l’obiettivo minimo di scongiurare la chiusura immediata dello stabilimento di Comazzo, cercando insieme le soluzioni possibili, e per chiedere che si agisca sugli ammortizzatori sociali, anche in modo innovativo, con la riqualificazione dei lavoratori.

INOLTRE, è giusto che si ottenga una fotografia trasparente della situazione, perché non c’è una motivazione accettabile per la chiusura dello stabilimento lodigiano né perché si possa ipotizzare un intervento successivo anche su quello di Pavia, visto che il settore farmaceutico non è in crisi e i siti produttivi della Merck godono di buona salute, anzi, potrebbero prendere lavoro in più”. Secondo il sindacalista della Cisl, Gianni Ardemagni, comunque, la chiusura immediata per Pavia non è calendario: “Se la Merk punta sul commerciale in Italia, deve dire cosa vuole fare di Pavia, uno stabilimento all’avanguardia e con forti professionalità. Dobbiamo avere garanzie sul futuro”.

MA VILLANI si preoccupa anche della ricerca: “C’è molto lavoro da fare perché non vengano tagliati i fondi, che sono strategici per il futuro industriale di tutto il Paese. Se pensiamo alla situazione occupazionale pavese e alla grossa sofferenza che attraversa, con l’aumento della cassa integrazione straordinaria che la testimonia, è sempre più chiaro che la ripresa industriale deve essere sostenuta da azioni concrete”.