2010-07-10
di LAURA DE BENEDETTI
— COMAZZO —
«SONO 35 ANNI che lavoro qui. E me ne mancano 5 alla pensione». Ha le lacrime agli occhi Rosa Cascino, 54 anni, che ieri mattina, insieme agli altri 137 colleghi (tra cui anche alcuni operatori esternalizzati) della Schering Plough - Nuova Merck , ha scioperato per un’ora davanti alla fabbrica dove ha trascorso quasi una vita intera e che il giorno prima ha annunciato la chiusura.
«Ho due figli che a loro volta sono rimasti senza lavoro e che, per tentare di guadagnarsi da vivere, hanno deciso di avviare un’attività in proprio, con relativi debiti...Io abito in paese, ho visto crescere l’azienda, l’anno scorso abbiamo dovuto lavorare anche di sabato e domenica. Poi è cominciata la crisi». Tutti i dipendenti sono concordi: il calo nella produzione di prodotti farmaceutici (una cinquantina di specialità per uso umano e veterinario) è cominciato quando, a novembre, c’è stata la fusione tra Schering e Merck & Co. Inc. (in Italia attiva come Msd): ed è proprio quest’ultima ad aver annunciato la chiusura di altri stabilimenti in Portogallo, Messico (2), Brasile, la vendita di quelli in Argentina e Florida (Usa) e la “dismissione” di otto centri di ricerca, tra Canada, Usa ed Europa.

LO STABILIMENTO di Comazzo, seppur isolato nella campagna, è in ottimo stato, molto ben curato e vanta diverse certificazioni di eccellenza: ma a livello mondiale si guarda solo ai numeri, dietro ai quali però ci sono persone, famiglie, storie di vita: «Ci siamo accorti che il lavoro stava calando — aggiunge Anna Ostaggio, 54 anni, interinale per dieci anni, assunta da quattro —: arrivava il principio attivo ma poi non ce lo facevano confezionare. Siamo passati in un anno dai doppi turni ai turni saltati, con gente che man mano andava via e non veniva rimpiazzata. Quando chiedevamo spiegazioni ci dicevano di non preoccuparci, ci siamo sentiti abbandonati ma non avremmo pensato a questo. Sono vedova con una figlia di 19 anni che studia, ho un mutuo. Sono combattiva ma ora come posso andare avanti? Che fine farò? Tra noi c’è disperazione».
Fabio Perego, 47 anni, vive con una collega, resteranno entrambi senza stipendio dopo 20 anni in fabbrica: «Abbiamo mutuo, due figli: il futuro è incerto siamo abbastanza preoccupati». Marco Gimondo è un ingegnere dei servizi tecnici: «Se la nostra dirigenza ha fatto un errore è stato di spostare qualche produzione in Spagna, per ridurre la spesa, anziché potenziare il sito. Oggi lo stabilimento di Comazzo non è strategico. Ma pare pure evidente che l’acquisizione è stata una pura operazione finanziaria e dunque c’è poco da fare».

SUL POSTO, a portare la solidarietà ai colleghi, anche Emiliana Pirola, in pensione da 10 anni: «Questo stabilimento è stato aperto nel ‘65 — ricorda —. Siamo arrivati ad avere 184 dipendenti con un centro di ricerca interno». Oggi non solo non c’è più il centro di ricerca interno, ma neppure quello nell’Istituto San Raffaele di Milano dove lavorava Milena Gamba, ex Rsu e oggi membro della segreteria Uil di Lodi: «A fine del 2008 abbiamo saputo della chiusura per il marzo 2009 del centro ricerca. Ora lavoro qui a Comazzo al controllo qualità da un anno. È bene che la direzione ricordi che dietro a questi 130 lavoratori ci sono 130 famiglie e che si impegni a modificare questa situazione che avrà un peso sociale di grande rilievo nel territorio. La sede Merck di Pavia ci ha già mandato un documento di solidarietà, impegnandosi a collaborare con noi».