Delitto di Pordenone, testimonia il Ris: sull’arma non c’è Dna di Ruotolo

Svolta in Corte d’assise nel processo a carico del militare campano

Giosuè Ruotolo arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Teresa Costanza e del fidanzato Trifone Ragone

Giosuè Ruotolo arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Teresa Costanza e del fidanzato Trifone Ragone

Zelo Buon Persico (Lodi), 17 dicembre 2016 - Fu qualcun altro a sparare la sera del 17 marzo 2015 in quel parcheggio di Pordenone. Questa la tesi che sembra avanzare la difesa di Giosuè Ruotolo dopo la nona udienza che vede imputato il militare campano per l’omicidio di Teresa Costanza, originaria di Zelo, e Trifone Ragone. Ieri in Corte d’Assise a Udine è toccato al direttore del laboratorio del Ris Nicola Staiti salire sul banco dei testimoni. Una testimonianza che, secondo gli avvocati di Ruotolo, darebbe ulteriore impulso all’innocenza del 27enne campano. 

Non è stata riscontrata infatti nessuna traccia del Dna di Giosuè Ruotolo né sulla pistola Beretta gettata nel laghetto né sul bossolo, o sugli altri campioni biologici raccolti nella vettura di Teresa e Trifone, dove i due fidanzati sono stati giustiziati con sei colpi di pistola calibro 7,65. Ma non basta, perché stando al capitano dei Ris non è stata nemmeno trovata alcuna traccia del Dna delle due vittime sui campioni raccolti dai vestiti e nell’auto di Ruotolo. "È un elemento fortemente significativo", il commento a caldo durante una pausa dall’udienza dell’avvocato Giuseppe Esposito, uno dei legali del collegio di difesa. Che poi aggiunge: "Sul bossolo trovato in auto c’è un profilo genotipico appartenente a una delle vittime insieme a un altro profilo, minoritario ma comunque utilizzabile per il confronto, che non appartiene a Giosuè Ruotolo".

Dunque sarebbe stato qualcun altro a sparare? "E’ evidente - risponde Roberto Rigoni Stern, legale di Giosuè Ruotolo -. In sostanza si sta solo dimostrando quello che noi abbiamo sempre sostenuto: la totale estraneità dai fatti del Ruotolo. C’era qualcun altro quella sera in quel parcheggio: ora comincia a essere evidente a tutti". La Corte di Assise ha ascoltato poi il luogotenente dei carabinieri dei Ros di Udine Paolo Tommasi, che ha ricostruito gli spostamenti dei fidanzati il giorno dell’omicidio tramite il gps della Suzuki Alto e delle immagini delle telecamere di sorveglianza. Una testimonianza da cui è emerso che quella dell’imputato è stata l’unica Audi ripresa nei pressi della palestra all’ora del delitto.

In aula ancora una volta non c’erano i parenti delle due vittime, anche se l’avvocato Giacomo Triolo, uno dei legali della famiglia Costanza, ha voluto comunque precisare: "Non sono emersi elementi di grandi novità, sapevamo già che non era stata trovata alcuna traccia del Dna di Ruotolo, anzi proprio da qui è nata la difficoltà di questa indagine, che gli inquirenti hanno dovuto affrontare alla “vecchia maniera” con relative lungaggini". Proprio il fattore tempo, secondo il legale siciliano, sarebbe stato un fattore chiave anche per la carenza di Dna utile: "Certo - ha chiarito Triolo - perché Ruotolo avrebbe comunque avuto a disposizione oltre sei mesi per ripulire tutto in modo accurato, dall’auto ai vestiti". Un caso spinoso e difficile che lunedì mattina vedrà una nuova puntata, la decima, quando in aula a Udine sfileranno le amiche di Rosaria Patrone, fidanzata di Giosuè Ruotolo.