Lodi, 20 ottobre 2013 - Il numero assegnato alla sua bara, a Lampedusa, era il 72. Ma dentro c’erano i sogni e la vita, naufragati nel mar Mediterraneo, di Hagerawic Shishay, eritrea di 22 anni che stava tentando di raggiungere, in Italia, a Lodi, il fratello, padre Musie, prete copto della chiesa ortodossa eritrea Tewahdo. «Quando ho sentito alla tv del naufragio ho immaginato il peggio: era come se la mia anima sapesse che lei era morta» spiega padre Musie, che ormai vive a Lodi, presso i padri Barnabiti, da 5 anni, come rifugiato politico. Dapprima il prete ha ricevuto la notizia che, in acqua, erano stati ritrovati i documenti della sorella. Si è quindi recato in aereo a Lampedusa: «L’ho riconosciuta da una foto scattata prima che chiudessero la bara — spiega — A differenza di altri corpi il suo viso era ancora intatto. Io stesso ho fatto un funerale in una chiesa laggiù, insieme a nostri concittadini. Era molto brava, intelligente, pensava al prossimo, mi manca molto: chi ha vissuto con lei prima dell’imbarco mi ha raccontato che cantava spesso e che parlava sempre di suo figlio». 

Hagerawic, aveva lasciato il proprio bimbo di 3 anni con la madre, con cui era tornata a vivere dopo il divorzio dal marito, ma in Eritrea era stata arrestata senza motivo, poi era tenuta sotto controllo, non c’erano prospettive di lavoro così aveva deciso di seguire le orme del fratello: la fuga prima in Sudan, poi in Libia, quindi la traversata via mare per approdare in Italia (Musie, perseguitato come prete, l’ha fatta però, anni fa, su un gommone con circa 80 persone, pagando 3 mila euro): «Ha vissuto 2 anni in Sudan, un posto difficile, in particolare per una donna, sola, cristiana, che non conosce la lingua. Quando mi chiamò le dissi di non andare in Libia, dove ci sono trafficanti di uomini, e di non fare la traversata perché c’erano già stati dei morti annegati. Ma mi rispose che sarebbe stato ciò che voleva Gesù. Quando l’ho risentita, in Libia, era molto infelice, mi ha chiesto di pregare per lei. È salita su quel barcone ma mi è stato detto che chi li ha visti non li ha aiutati e quando loro hanno chiamato la Guardia costiera, quest’ultima ci ha messo tanto ad arrivare. Perché hanno lasciato morire questa gente? Anche quando sono andato giù non c’era rispetto da parte della polizia mentre i lampedusani sono angeli, amano le persone: sono come gli antichi cristiani, gli apostoli. Sono stato in molti paesi del nord Africa, in diverse città italiane ma non ho mai conosciuto nessuno come la gente di quell’isola, che piangeva per noi». 

Padre Musie accusa il Governo italiano «di essere l’unico in Europa a non aver criticato il nostro dittatore: ci aspettavamo che l’Italia, dopo la colonizzazione, portasse nel nostro paese la democrazia, invece ciò non è avvenuto». Nel naufragio è morto anche il cugino 34enne di un’altro eritreo che vive a Lodi: ieri sera lui e Shishay hanno partecipato alla camminata (da piazza Omegna a piazza della Vittoria) dedicata ai profughi vittime di naufragi, organizzata dalla Caritas e sostenuta da altre associazioni, cui ha preso parte anche l’assessore Domenico Bonaldi, già presidente di “Tuttoilmondo” e impegnato nell’aiuto agli stranieri.

laura.debenedetti@ilgiorno.net