Lodi, 27 settembre 2013 - Tutti i componenti del clan attivo fra Milano e Lodi dichiarano al Fisco meno di 30mila euro lorde l’anno. Peccato che i redditi «vengono investiti dai vertici del gruppo criminale in diverse attività economiche, oltre che per sostenere un tenore di vita sproporzionato rispetto ai redditi ufficiali», scrive il giudice. Tanto per capirci, il presunto capo Pino Porto gira in Ferrari e Audi A8, ha un motoscafo da 150mila euro ancorato al porto di Palermo, spende in scommesse sul calcio e al casinò migliaia di euro alla volta, fa collezione di orologi Rolex, e fa prestiti a varie persone.

«Inoltre, possiede diverse carte di credito American Express/oro che utilizza senza parsimonia», sottolinea il giudice. Come si dovrebbe comportare una banca con personaggi del genere? Segnalare le discrepanze fra tenore di vita e redditi? Macché. Le banche spalancano le porte a Porto e all’imprenditore palermitano S.C. - trapiantato a Lodi - che in pochi mesi compra terreni e case per oltre 700mila euro. Anzi, una filiale di Offanengo garantisce un maxi fido da 530mila euro. Senza batter ciglio.

M.F., direttore generale di una banca radicata nel Lodigiano, in una conversazione del 2 giugno 2009 chiede a S.C. «di versare almeno 10mila euro per rientrare su uno dei vari conti correnti, specificando che “se anziché un fido fosse stato un mutuo, le rate lei me le doveva pagare». S.C. ribatte: io sono in grado di pagare anche il mutuo, ma come faccio a prenderli in nero e poi a portarli là?. Il direttore, dopo una iniziale insistenza, concorda con S.C. rinunciando al versamento di contanti sui conti.

A fine luglio 2009 F.M. sollecita di nuovo S.C. un rientro dei conti «che sono tutti fuori». L’8 aprile 2009, però, F.M. cambia discorso. E parla «dell’acquisto di un immobile di proprietà di S.C. da parte dei suoi genitori — scrive il giudice —, definendolo “troppo caro”». S.C. è disponibile ad abbassare il costo. E il giudice annota: «Operazione che si colloca nel quadro di uno scambio di favori, volto a favorire le attività economiche dell’associazione (mafiosa, ndr). «Gli istituti di credito, radicati sul territorio della provincia (...), attraverso funzionari in diretto contatto con S.C., conoscendo il loro cliente e il reale valore delle sue proprietà e investimenti, non esitano a concedergli fidi oltre ogni limite ammissibile di corretto esercizio del credito».

Addirittura, il direttore di una banca del Cremasco, nel 2008, affida 100mila euro suoi personali perché S.C. li investa in un affare immobiliare. Nello stesso giorno, per lo stesso motivo, concede un prestito bancario da 250mila euro senza che S.C. abbia garanzie a copertura. Poi, dopo alcuni controlli in banca, il direttore fa preparare falsi documenti per giustificare gli illeciti. E il giudice tira le somme così: «Il sostegno fornito dal bancario G.C. è stato indispensabile per la realizzazione dei progetti di S.C. e dell’associazione che vi ha investito, in quanto la concessione di linee di credito privilegiate, la mancata segnalazione di operazioni illecite, non ritenute congrue secondo la normativa, e le condotte anomale poste in essere da G.S., hanno reso possibile il reinvestimento del denaro e la sussistenza dell’associazione».

M.T., altro funzionario di banca nel Pavese, a seguito di un investimento (rivelatosi sbagliato) sulla ristrutturazione di un immobile fatto dalla banca, contatta S.C. per proporgli di eseguire lavori di ristrutturazione. E lo avvisa: «Tutti devono avere il loro tornaconto». S.C. capisce il ricatto: sì ai prestiti, in cambio della ristrutturazione a prezzi di favore. E l’affare è fatto.

fabrizio.lucidi@ilgiorno.net