Maccastorna, 18 agosto 2013 - Lo chiamano ancora il «Castello dei settanta fantasmi» benché, passando dalla leggenda alla storia, i morti ammazzati al suo interno per vendette consumate e smanie di onnipotenza non abbiano un numero preciso. Il castello di Maccastorna, nell’omonimo comune della bassa Lodigiana che oggi conta 64 anime pacifiche, è un bell’esempio architettonico del feudalesimo e un simbolo immortale di ferocia umana per possederlo. Situato com’è all’imbocco dell’Adda e al confine con la provincia di Cremona, ha fatto gola ai tempi dei Ghibellini (che lo abitarono) e poi dei Guelfi (che lo espugnarono con il massacro dei residenti).

Ma ciò che resta nella memoria con orrore è la notte del 24 luglio del 1406, quando il sangue versato fu così spaventoso da rimanere impresso nella vita agreste del volgo di allora fino a finire sui libri tra le più intense leggende di fantasmi d’Italia. Intense perché la vicenda del castello (di proprietà della famiglia di Codogno Biancardi sin dal 1901) si fanno raccontare al vederlo da fuori (arcigno e austero) e immaginarlo da dentro (il pozzo delle spade). In quel pozzo si racconta che vennero gettati i corpi di quegli sciagurati settanta uomini capeggiati da Carlo Cavalcabò che di ritorno da Milano con i fratelli si fermò alla rocca, quattro anni prima offerta in dono al capitano di ventura Cabrino Fondulo di Soncino.

Furono rifocillati e accolti nelle camere come ospiti, ma nella notte massacrati a pugnalate o strozzati su ordine del padrone di casa. Se Cabrino Fondulo, smanioso di diventare signore di Cremona (e rubare perciò il trono ai Cavalcabò) si comportò da vile criminale, le sue vittime avevano a loro volta occupato il maniero medioevale approfittando della morte di Gian Galeazzo Visconti facendosi eleggere signori di Cremona. Il sanguinario capitano di ventura Cabrino Fondulo (che trovò la morte per impiccagione al Broletto di Milano) non fu da meno neppure allo smanioso di potere Gian Galeazzo Visconti che aveva comprato la rocca nel 1371 impadronendosi col tradimento del ducato di Milano e concedendola in feudo a Gugliemo Bevilacqua, suo complice nel delitto dello zio Bernabò.

Bevilacqua, volendo lasciare il castello alle figlie femmine, fu sopraffatto dai maschi, ma la vendetta è sempre un piatto freddo che si serve a letto: la figlia spodestata armò il marito e gli zii Bevilacqua usurpatori vennero pugnalati. Nel sonno, appunto.

B.B.